• Bruno Buozzi

    20.00 
    Vincitore del Premio Fiuggi Storia 2014, sezione Biografie 4 giugno 1944. E’ il giorno della Liberazione di Roma ma anche dell’eccidio de La Storta. Ora un libro ricostruisce la vicenda e fa luce sui colpevoli. Un inedito e sorprendente pezzo di storia d’Italia. A settant’anni dalla morte, Mammarella ricostruisce la vicenda politica di una delle più importanti figure della storia italiana del Novecento. Ma non si tratta di una semplice biografia perché nel volume compaiono documenti fino a oggi sconosciuti e rivelatori di una storia ignota, ricchissima di sorprese e di rivelazioni. Il volume ci restituisce ricostruzioni inedite di molti avvenimenti cruciali. Tra quelle più interessanti, la complessa vicenda dell’eccidio de La Storta del 4 giugno 1944. L’autore formula nuovi elementi di sospetto sulla strage, evidenziando un dato finora passato inosservato: la presenza quanto mai sospetta di Kappler e Priebke nella stessa area della strage. Dal libro emerge chiaramente che fu proprio Priebke a orchestrare la cattura di Buozzi, poi giustiziato senza apparente motivo. E ancora, un Mussolini inedito che, timoroso dell'occupazione delle fabbriche ordinata da Buozzi, si reca dal capo sindacale prostrandosi nel tentativo di non essere spazzato via dalla scena politica. Una storia sindacale e politica, dunque, che è anche e soprattutto una storia dell’Italia del Novecento. Al nome di Bruno Buozzi (1881-1944) sono legati eventi unici e irripetibili. Operaio autodidatta riesce in breve ad affermarsi come leader sindacale diventando l’artefice di lotte operaie plateali e dirompenti come l’occupazione delle fabbriche. Convinto socialista, respinge la violenza come mezzo di lotta e abbraccia l’idea riformista della gradualità delle conquiste sociali. Tra i suoi primati si contano numerose conquiste sindacali, prima fra tutte la giornata lavorativa di 8 ore. Antifascista e avversario di ogni estremismo politico, socialdemocratico convinto che la democrazia debba essere in primo luogo nelle fabbriche. Buozzi muore nel giugno del 1944 per mano dei nazifascisti.
  • Poveri salari

    14.00 
    Il salario è certo uno strumento di riconoscimento del lavoro, ma ha anche un valore equitativo e redistributivo, per cui una di seguale distribuzione dei redditi e della ricchezza costituisce, oltre che una inaccettabile ingiustizia, anche un freno per lo sviluppo. Per questi motivi nel libro si analizza, a partire dai primi anni duemila fino ad oggi, la dinamica delle retribuzioni lorde e nette in rapporto all’inflazione, alla produttività e più in generale ai principali aggregati economici che caratterizzano il sistema economico-produttivo italiano. Tale arco temporale evidenzia le debolezze strutturali del sistema Italia, a causa delle quali la crisi globale ha esercitato effetti pesantemente negativi sulla crescita, l’occupazione, la produttività, i salari e l’avanzo primario accumulati negli anni precedenti. Le radici della crisi globale affondano infatti nelle scelte compiute negli anni passati dai paesi più industrializzati e nell’impostazione teorica alla base di quelle scelte. È da lì dunque che occorre ripartire per riequilibrare e riformare il modello di sviluppo. Ma benché le cause siano chiare, le contromisure strutturali volte a regolare la finanza, sanare gli squilibri globali e favorire l’uguaglianza attraverso il salario per rilanciare una solida ripresa e un nuovo sviluppo non sono ancora state intraprese. In Italia come nel resto dei paesi europei il ritorno alla crescita, allo sviluppo responsabile, ad una più forte democrazia, per una società più equa, può venire solo dal lavoro a partire dalle giovani generazioni.
  • Il governo conservatore di Orbán, al potere dal 2010, rappresenta una preoccupazione per le istituzioni europee. Il primo gennaio del 2012 sono entrate in vigore una nuova Costituzione di stampo nazionalista, conservatore e autoritario e una legge sulla stampa che ha portato all’istituzione di un organo preposto alla gestione e al controllo dell’informazione e che prevede regole molto severe che vengono fatte rispettare con la minaccia di multe pesanti e chiusura di testate. A marzo sono stati approvati diversi emendamenti alla Costituzione che hanno sollevato le critiche delle istituzioni europee le quali temono per il rispetto dei diritti fondamentali in Ungheria. Molto critici, su questi aspetti, i rapporti di Human Rights Watch e della Commissione di Venezia. Il Codice del Lavoro è stato modificato in senso favorevole ai datori di lavoro e sfavorevole ai lavoratori dipendenti e il malcontento nel Paese è palpabile anche se Orbán è riuscito a presentarsi come difensore degli interessi nazionali e continua ad avere in patria numerosi sostenitori. Secondo molti esperti l’atteggiamento del primo ministro magiaro ha contribuito in modo significativo al risultato di una recente inchiesta che mette in luce un aumento dell’ostilità o dello scetticismo degli ungheresi nei confronti della UE. È vero che questo fenomeno e il problema dei rigurgiti nazionalisti non riguardano solo l’Ungheria, ma è anche vero che Orbán sembra voler guidare «la lotta per la libertà» di quanti, ungheresi e no, ritengono la UE una minaccia per la sovranità nazionale degli Stati.
  • Ultimo lavoro dello storico Lucian Boia, questo volume svolge un’analisi del ruolo capitale che ha avuto e che certamente, secondo l’autore, continua ad avere l’Occidente, in prima istanza soprattutto europeo ma anche traslato oltreoceano, negli Stati Uniti. Nella successione dei capitoli che compongono il volume, Lucian Boia tiene le redini di un discorso molto ampio, ripercorrendo secoli di storia europea e universale, nel tentativo di rispondere al quesito basilare: l’Occidente ha perso o no il ruolo di motore del mondo? Quali saranno in futuro i rapporti e gli equilibri tra le potenze mondiali, ora che il miracolo occidentale è finito come fase storica? Il punto di partenza dell’autore è l’osservazione di un semplice dato di fatto: il futuro rimane imprevedibile, non solo in quanto tale, ma soprattutto perché viviamo in un’epoca di grandi cambiamenti, affascinante o sconcertante in base alla percezione e al grado di adattabilità di ciascun individuo. Una storia si conclude e un’altra prende forma. Non è la fine del mondo, ma qualcosa che in un certo modo le assomiglia: è la fine di un mondo quella che Boia ci racconta attraverso i successi e le cadute, gli eccessi e le evoluzioni che, nel bene e nel male, hanno reso l’Occidente un nucleo centrale della storia dell’uomo.
  • L’Italia del 1985, quando venivano pubblicati i saggi qui raccolti, era molto diversa dall’Italia di oggi. Ingrao aveva da pochi anni cessato le funzioni di presidente della Camera e le sue riflessioni vertevano sulla crisi del Parlamento. Prima degli anni ottanta il Parlamento fu davvero la sede di un confronto alto tra le forze politiche e, come spiega Ferrajoli nel suo saggio introduttivo, “lo fu perché le battaglie parlamentari erano tutte sorrette da grandi mobilitazioni popolari, quali espressioni politiche di altrettante lotte sociali”. Successivamente inizia invece un processo di trasformazione che abbiamo ancora sotto gli occhi e che Ingrao lucidamente avverte e denuncia: crisi della rappresentanza, crisi dei partiti, crisi della funzione legislativa del Parlamento, sempre più all’ombra dell’esecutivo. Cosa propone Ingrao? Una seria riforma della macchina dello Stato e delle sue strutture ottocentesche attraverso monocameralismo, riduzione drastica del numero dei parlamentari, rafforzamento qualitativo dei poteri del Parlamento mediante l’espansione delle sue funzioni ispettive e di controllo, maggior collegamento delle istituzioni parlamentari con le istituzioni europee e con quelle regionali. Come allora gli obiettò Norberto Bobbio, le sue proposte si muovevano in direzione esattamente opposta alla logica della governabilità che già cominciava a informare il dibattito politico. Ma rileggere Ingrao ora è importante non solo perché i problemi che individuava trent’anni fa sono ancora sul tavolo, ma perché ci ricorda che prima ancora di affrontare riforme elettorali o istituzionali, per difendere la democrazia bisogna riabilitare in primo luogo la politica come azione collettiva e rifondare la rappresentanza sulla base di rinnovati tessuti sociali.
  • Lontana e vicina, dentro e fuori di noi, la Cina continua ancora, nel mondo occidentale e nel mostro paese, a provocare sentimenti di inquietudine, ad essere percepita come una minaccia oscura, o quantomeno come un concorrente pericoloso. Pregiudizi e stereotipi che l’analisi di Vincenzo Comito si incarica di ribaltare in un saggio agile e denso che fa «parlare» i numeri dell’impetuosa crescita cinese (non solo quelli del Pil) e la molecolare influenza che essa sta avendo sui destini del suo popolo e dell’intero mondo.
  • La vita di Bruno Trentin, dalla nascita in Francia dove la sua famiglia era in esilio a causa della dittatura fascista, alla guerra partigiana nelle file di «Giustizia e Libertà» (il partigiano Leone), alla CGIL e all’iscrizione al PCI provenendo dal Partito d’Azione, attraversa larga parte del Novecento. Segretario della FIOM e della FLM e principale protagonista dei Consigli di fabbrica durante l’autunno caldo, segretario generale della CGIL nei primi anni Novanta, ha lasciato un segno profondo nella cultura sindacale e politica. Ariemma mette in luce il carattere originale e innovativo del suo pensiero: la sua ricerca permanente non dogmatica e non ideologica della realtà, a partire dal capitalismo e dal fordismo; la sua visione eretica della democrazia e del socialismo, non statale e critico verso il modello sovietico fin dal 1956, una democrazia e un socialismo come processo, come rivoluzione dal basso, a partire dai luoghi produttivi. La politica per Trentin deve avere al centro il lavoro e il lavoro deve avere al centro la libertà e l’autorealizzazione della persona umana. Non esita a definire il suo messaggio utopia, un’utopia però non massimalista, ma concreta, sperimentale, tesa alla trasformazione della vita quotidiana a partire da chi il lavoro non ce l’ha o è precario, e quindi non è libero, oppure ha un lavoro alienante, opprimente, reificato. Nell’ultimo periodo della sua vita si è battuto, anche come parlamentare europeo, per gli Stati Uniti d’Europa, e per avviare una nuova civiltà che avesse a fondamento il lavoro e la conoscenza.
  • Il 20 marzo 1963 Palmiro Togliatti tiene a Bergamo un discorso che ha come titolo Il destino dell’uomo. È in corso la campagna elettorale, ma il segretario del Pci si tiene lontano dalle schermaglie tattiche del momento, e si impegna in una operazione politica di altissimo livello, cercando di costruire il terreno per una collaborazione tra il movimento operaio e il mondo cattolico sui grandi temi del nostro tempo, a partire dalla necessità di salvare l’umanità dalla minaccia della guerra nucleare. Bergamo è una città di fortissima tradizione cattolica, ed è anche la terra d’origine di papa Giovanni XXIII. È dunque chiaro l’intento di costruire un ponte con tutto il movimento riformatore che sta cambiando in profondità gli orizzonti culturali della Chiesa cattolica, con l’impulso decisivo del pontefice, che segna davvero una «svolta» nella storia della Chiesa. Dopo pochi giorni, l’11 aprile, viene promulgata l’enciclica Pacem in terris, nella quale giungono a piena maturazione i nuovi orientamenti dottrinali della Chiesa cattolica, con un impatto fortissimo sulla società italiana e sull’intera comunità internazionale. A cinquant’anni da questi due eventi il volume propone una riflessione storica sull’attualità di Togliatti e di Giovanni XXIII e sulla loro convergenza di metodo e di approccio. Il libro pone l’accento non tanto sulle ideologie, quanto sulle forze reali e sulle possibilità di un incontro che avvenne sul terreno della comune condizione umana, di fronte alle emergenze del loro e del nostro tempo. Completano il volume due appendici in cui si riproducono una testimonianza e una lettera di monsignor Capovilla, il di scorso di Togliatti e l’enciclica di papa Giovanni.
  • Fare parte della «generazione senza» significa non potersi permettere progetti di vita, non avere diritti elementari, stare peggio dei propri genitori pur avendo studiato di più. Si vive ai margini del mercato del lavoro vedendosi negata una parte importante della propria identità. Precarietà, dequalificazione, disoccupazione, scoraggiamento formano oggi una miscela esplosiva in cui è avviluppata un’intera generazione di giovani dai 20 ai 35 anni. L’indagine - promossa da Cgil e Smile, in collaborazione con la rivista Internazionale - aiuta a capire meglio l’«arcipelago della precarietà» attraverso la raccolta e l’analisi di quasi 500 storie di lavoratori e lavoratrici atipici. La ricerca riordina tutte le varie tipologie di precariato ma soprattutto dà voce a chi la precarietà la vive tutti i giorni sulla propria pelle: posizioni, profili, percorsi, vicissitudini, atteggiamenti, contesto familiare, linguaggio. Sono questi gli elementi che aiutano davvero a capire cosa voglia dire essere precario oggi. Per cambiare questa situazione non basta una buona legge: bisogna ripensare la cittadinanza sociale e il welfare, in modo che sia garantito un futuro ai lavoratori, a prescindere dal contratto che hanno stipulato. Il sindacato per lungo tempo è stato assente e molti dei precari intervistati lamentano la delusione e la lontananza da ogni possibile sistema di rappresentanza. È giunto allora il momento di fare autocritica e di intraprendere un nuovo percorso.
  • Esigete!

    6.00 
    Semplice, chiaro, efficace. Hessel e Jacquard rendono attuale un tema che pare scomparso addirittura dall’immaginario pacifista e lo coniugano con l’attuale necessità di parlare ai giovani di cosa occorra cambiare perché il nostro pianeta possa vivere e sopravvivere. Hessel ci insegna a ripartire dalle nostre esperienze, dal cercare e praticare la democrazia e la pace, assicurando vita e futuro alle nuove generazioni e difendendo spazi che l’umanità ha l’obbligo di conservare anziché distruggere. Nato a Berlino nel 1917 da una famiglia ebraica, protagonista della Resistenza francese e uno dei principali redattori della Dichiarazione universale dei diritti umani, dopo aver pubblicato il pamphlet Indignatevi! si è rivolto soprattutto ai giovani invitandoli ad esigere l’abbandono del nucleare. Tra i temi trattati nel volume, l’uso e i costi delle armi nucleari, il Trattato di non-proliferazione, il ruolo politico delle armi nucleari, il nucleare civile, le strategie per il futuro. I curatori del libro aggiornano il pamphlet di Hessel e Jacquard alla situazione attuale, con un focus particolare sul contesto italiano. L’opposizione popolare e il referendum nel nostro paese hanno tagliato le gambe agli impianti “civili”, che avrebbero prodotto e accumulato quantità di uranio arricchito e plutonio sufficiente alla realizzazione di diverse bombe. Ma il nucleare militare riprende drammatica attualità attraverso l’aggiornamento delle bombe nucleari Usa nelle basi di Ghedi e Aviano. Sono le nuove B61 che verranno rese trasportabili entro il 2020 sui cacciabombardieri F35.
  • Roma negata

    15.00 
    Libia, Somalia, Eritrea, Etiopia: quali sono le tracce dell’avventura coloniale italiana a Roma? Roma negata è un viaggio attraverso la città per recuperare dall’oblio un passato coloniale disconosciuto e dare voce a chi proviene da quell’Africa che l’Italia ha prima invaso e poi dimenticato. Igiaba Scego racconta i luoghi simbolo di quel passato coloniale; Rino Bianchi li fotografa, assieme agli eredi di quella storia. Il risultato è una costruzione narrativa e visiva di un’Italia decolonizzata, multiculturale, inclusiva, dove ogni cittadino possa essere finalmente se stesso. Negli anni trenta del secolo scorso Asmara, Mogadiscio, Macallè, Tripoli, Adua erano nomi familiari agli italiani. La propaganda per l’impero voluta da Benito Mussolini era stata battente e ossessiva. Dai giochi dell’oca ai quaderni scolastici, per non parlare delle parate, tutto profumava di colonie. Di quella storia ora si sa poco o niente, anche se in Italia è forte la presenza di chi proviene da quelle terre d’Africa colonizzate: ci sono eritrei, libici, somali, etiopi. Il libro riprende la materia dell’oblio coloniale e la tematizza attraverso alcuni luoghi di Roma che portano le tracce di quel passato dimenticato. I monumenti infatti, più di altre cose, ci parlano di questa storia, dove le ombre sono più delle luci. Prende vita così un’analisi emozionale dei luoghi voluti a celebrazione del colonialismo italiano, attraverso un testo narrativo e delle fotografie. In ogni foto insieme al monumento viene ritratta anche una persona appartenente a quell’Africa che fu colonia dell’Italia. Scego e Bianchi costruiscono così un percorso di riappropriazione della storia da parte di chi è stato subalterno. «Volevamo partire dal Corno D’Africa, dall’umiliazione di quel colonialismo crudele e straccione, perché di fatto era in quel passato che si annidava la xenofobia del presente (…) Da Roma negata emerge quel Corno d’Africa che oggi sta morendo nel Mediterraneo, disconosciuto da tutti e soprattutto da chi un tempo l’aveva sfruttato». Gli autori