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Quali strategie per la rappresentanza del lavoro non standard?
Il testo propone una tipologia delle strategie di rappresentanza dei lavoratori non standard. Per fare ciò si sofferma su cosa vada inteso per rappresentanza e lavoro non standard. Nella tipologia vengono infine collocati i risultati di un’indagine nazionale sul tema.
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Qualificare il lavoro privato di cura
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Qualità dell’occupazione e povertà lavorativa
Il contributo evidenzia la necessità di approfondire e rendere evidente la relazione tra povertà lavorativa e bassa qualità dell’occupazione in Italia, focalizzandosi su salari e tipologie contrattuali di lavoro. Negli ultimi decenni, l’Italia ha visto un calo dei salari reali rispetto a Germania e Francia. Nonostante si lavori più ore, la quota del Pil destinata ai salari è tra le più basse d’Europa. La qualità occupazionale, per intensità e durata dei rapporti di lavoro, influenza fortemente i salari: chi lavora con contratti a termine, a part-time e in modo discontinuo ha una retribuzione in media di meno di 10.000 euro l’anno, mentre i lavoratori con contratti a tempo indeterminato, a tempo pieno e con continuità hanno una retribuzione di oltre 37.000 euro, ma riguarda solo il 38,7% degli occupati del settore privato. Inoltre, il 58% di chi lavora part-time lo fa «involontariamente». L’incidenza del rischio di bassi salari e della povertà lavorativa è più alta per le donne e per i giovani, in ragione del maggiore ricorso di contratti discontinui e a tempo parziale. La povertà lavorativa è aumentata dal 9,5% nel 2010 all’11,5% nel 2022. Per contrastarla, occorre agire su più ambiti d’inter vento: specializzazione dei settori produttivi, sostegno alla contrattazione collettiva, regolazione del mercato del lavoro e rafforzamento delle competenze, puntando su politiche che riducano la precarietà e favoriscano l’occupazione stabile e qualificata.
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Qualità dell’occupazione e ruolo dell’istruzione nelle imprese: imprenditori e lavoratori a confronto
L’articolo analizza il ruolo giocato dall’istruzione di lavoratori e imprenditori nel condizionare (promuovere) diverse dimensioni della qualità del lavoro. Le analisi empiriche sono sviluppate sulla base dei dati della Rilevazione sulle imprese e sui lavoratori (Ril) condotta dall’Isfol per il 2010 e permettono di evidenziare i seguenti risultati. Primo, il livello di istruzione degli imprenditori è un fattore fondamentale per favorire gli investimenti in formazione professionale, l’adozione della contrattazione integrativa sui salari e l’occupazione con contratti a tempo indeterminato. Secondo, il livello di istruzione dei lavoratori è positivamente correlato alla propensione delle imprese a effettuare investimenti formativi, ma non costituisce un freno all’uso dei contratti a temine né agevola l’adozione della contrattazione integrativa sui salari. Tali risultati mettono in luce come il capitale umano dei datori di lavoro costituisca un elemento critico per aumentare la qualità del lavoro e, quindi, per la crescita economica e sociale del paese.
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Qualità e innovazione nella contrattazione. Come contrastare gli effetti negativi dell’Accordo separato
Dopo 15 anni la necessità di un aggiornamento delle regole di contrattazione appare necessaria, ma non può prescindere dal contesto economico in cui la crisi sta dilagando. L’Accordo quadro del 22 gennaio 2009 non mantiene quello stesso spirito “ciampiano” del 1993 e comporta un peggioramento del potere d’acquisto nei Contratti nazionali e della stessa contrattazione. Ma, soprattutto, l’Accordo “separato” rinuncia anche ad una effettiva estensione e qualificazione della contrattazione decentrata, quando proprio la crescita della produttività e la redistribuzione avrebbero dovuto ra
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Quando i confini diventano una metafora dell’azione sociale
Con Tracciare confini (2006) Gian Primo Cella lascia il porto tranquillo della sociologia economica, del lavoro e delle relazioni industriali e affronta il «mare aperto» della teoria sociale1. Ormai tali «scorrerie» cominciano a essere abbastanza frequenti – si pensi a Le tre forme dello scambio. Reciprocità, politica, mercato a partire da Karl Polanyi (1997) – al punto da indurci a chiedere se quel porto sia stato abbandonato definitivamente. È come se quei confini, tutto sommato coccolati nel corso di questo libro, Cella provasse ad abbatterli nei rapporti della sociologia...
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Quando l’élite economica si appropria della politica
Dalla crisi del 2008, scoppiata nel cuore di famose istituzioni finanziarie, le élite economiche sono riemerse ancora più potenti. Ma proprio la crisi ha mostrato i limiti dell’egemonia giacchè il comando comporta responsabilità di governo. Ed è in un siffatto compito che le élite economiche si sono mostrate per quello che sono: uomini del business. Durante la crisi essi hanno mostrato un tale disinteresse per lo stato della società e le difficoltà della politica che mette in discussione la convenienza della loro egemonia.
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Quando l’élite economica si appropria della politica
Dalla crisi del 2008, scoppiata nel cuore di famose istituzioni finanziarie, le élite economiche sono riemerse ancora più potenti. Ma proprio la crisi ha mostrato i limiti dell’egemonia giacchè il comando comporta responsabilità di governo. Ed è in un siffatto compito che le élite economiche si sono mostrate per quello che sono: uomini del business. Durante la crisi essi hanno mostrato un tale disinteresse per lo stato della società e le difficoltà della politica che mette in discussione la convenienza della loro egemonia.
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Quando la legalità conviene. Conversazione con don Raffaele Bruno
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Quando le politiche non sono tutto. Determinanti strutturali e contrasto della povertà in Italia e in Germania
In questo articolo si analizzano i mutamenti nei profili di rischio povertà in alcuni paesi europei, con una particolare attenzione all’Italia e alla Germania, nella stretta connessione tra politiche di contrasto della povertà e i cambiamenti intervenuti nella struttura produttiva. La tesi sostenuta è che il rischio povertà non sia da mettere in relazione solo alla limitatezza o agli orientamenti delle politiche sociali, ma anche alle trasformazioni che hanno investito la struttura produttiva, a partire dal processo di terziarizzazione dell’economia. Troppo spesso il dibattito sul reddito minimo e le varie forme di sostegno del reddito trascura questi aspetti, come se il problema del rischio povertà associato al lavoro potesse essere affrontato solo dal lato delle politiche sociali. Le determinanti della domanda di lavoro rivestono invece una importanza cruciale, anche ai fini di ipotesi di riforma delle politiche di reddito minimo. L’articolo è organizzato come segue. Nella prima parte viene presentato il quadro relativo alle trasformazioni del rischio povertà in Italia e in alcuni paesi europei. Nella seconda il focus è spostato sulla Germania, esaminando i cambiamenti che hanno riguardato le politiche e la struttura del mercato del lavoro. Da qui, nell’ultima parte, il caso tedesco viene confrontato con quello italiano, presentando alcune considerazioni finali sulle politiche di reddito minimo.
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Quantità e qualità come funzioni del concetto di cittadinanza
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Quantità o qualità? Le sfide del lavoro per i giovani europei
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