• «Lavoravo l’intera mattina e nel pomeriggio Matilde batteva a macchina le mie poesie. Per la prima volta vivevamo insieme nella stessa casa. In quel posto dalla bellezza inebriante il nostro amore crebbe. Non potemmo separarci più. Lì ho finito di scrivere un libro d’amore, appassionato e doloroso, che fu pubblicato poi a Napoli, anonimo: Los versos del capitán». Così Pablo Neruda in Confesso che ho vissuto, la sua autobiografia, racconta il momento felice in cui nel 1952, esule ed ospite in una Capri «dal fascino assorbente», conclude la stesura di una raccolta di poesie scritte in vari paesi durante il suo esilio in Europa e che rappresenta uno dei punti più alti della sua opera. L’amore per Matilde Urrutia, sua futura moglie e allora protagonista clandestina di quei versi, la nostalgia del Cile, le passioni civili - racconta il poeta - riempirono le pagine di questo libro, che fu pubblicato per la prima volta anonimo a Napoli nel 1952, in non più di cinquanta esemplari che Neruda, con dedica autografa, donò ad altrettanti suoi amici che ne avevano sottoscritto l’edizione. La pubblicazione «senza firma» del volume, successivamente riconosciuto dal poeta, fu voluta da Neruda perché quelle poesie «di passione brusca e ardente» non avessero a ferire Delia del Carril, allora ancora sua moglie e dalla quale si stava separando. Le opere di Neruda, conosciute in tutto il mondo, non sono state finora mai tradotte in lingua araba. Questa edizione di Los versos del capitán, a fronte del testo spagnolo delle poesie, ne presenta invece la versione in arabo, la prima in assoluto, dovuta a Zuhair Abdul Malek.
  • Per buona parte della sua storia moderna e contemporanea la Polonia è stata un oggetto, non un soggetto geopolitico. La stessa Polonia attuale deve le sue frontiere alle decisioni, e alle indecisioni, dei massimi leader della coalizione antihitleriana, fra il 1943 e il 1945. Anche per loro i polacchi erano pedine da spostare sulla scacchiera continentale sulla base della somma algebrica dei rispettivi interessi. Bisognerà attendere il 1989 perché i polacchi riprendano in mano il loro destino, sulla scia della rivoluzione di Solidarnosc. La Polonia di cui trattiamo oggi è finalmente un coprotagonista della scena europea. Nella storia sono esistite molte Polonie, alcune più grandi dell’attuale, tutte più orientali. Perché questa Polonia possa esistere e prosperare la scelta euroatlantica è condizione necessaria ma non sufficiente. Decisivo sarà anche il rapporto con la Russia e con gli altri vicini orientali, Ucraina in testa. È di questa Polonia che tratta il libro, i cui testi illuminano in prospettiva il suo ruolo nell’Unione Europea e nella Nato, procedendo a ritroso dal 2006 al 1989. Sono soprattutto i diciassette anni trascorsi dalla caduta del comunismo all’ingresso della Polonia nell’Unione Europea che vengono qui raccontati con alcune mirate incursioni nel passato remoto per meglio spiegare quello recente.
  • La banlieue delle rivolte e della rabbia non è un deserto sociale e, soprattutto, non è un mistero storico. Gli anni settanta rappresentano un punto di svolta: in un decennio si passerà dall’egemonia operaia all’emergere dei nuovi concetti di esclusione e marginalità, dalla banlieue rouge dominata dal Partito comunista a quella disgregata dalla crisi economica, sociale e identitaria. La lunga storia dei preti-operai, nata dall’esperienza coraggiosa di tanti sacerdoti che dalla guerra in avanti sceglieranno di vivere la propria vocazione nella e per la classe operaia, dovrà confrontarsi con il suo declino e con la rarefazione delle sue organizzazioni come delle sue rappresentazioni simboliche. Le interviste a due protagonisti, Gilles Couvreur e J.L. Brunin, preti operai in seguito impegnati nelle realtà di banlieue, affrontano il cuore delle trasformazioni sociali che hanno portato a un nuovo modello di presenza missionaria, approfondendone gli aspetti teologici ed esistenziali a partire dal tema fondamentale del dialogo con l’islam francese. Un libro utile per chi vuole capire da dove viene la crisi sociale della Francia contemporanea al di là delle semplificazioni giornalistiche. Un viaggio appassionante sul cammino passato e futuro dei tanti cristiani che hanno scelto di vivere sulla propria pelle e in modo radicale il Vangelo degli ultimi e degli esclusi. Infine, una riflessione sulla rivoluzione concettuale che - tra credenti e non credenti - ha trasformato la coscienza europea.
  • Il lavoro può essere ridotto al puro scambio tra prestazione e denaro? Se è vero che i lavoratori hanno questa idea, perché invece nelle indagini svolte tra i cittadini italiani ed europei questi indicano il lavoro come «fonte di espressione e di relazione sociale, cioè un luogo dove realizzare la propria personalità in mezzo a persone gradevoli»? Dalle indagini italiane esaminate emerge anche la presenza congiunta, nei posti di lavoro, di nuove e di vecchie forme di frustrazione e di disagio lavorativo (disagio basilare o fantasma, stress, burn-out, mobbing, e numerose altre sindromi), che appare in controtendenza con il moltiplicarsi delle dichiarazioni da parte di studiosi, responsabili aziendali e sindacalisti a favore di politiche di worker satisfaction, cioè di un diverso modo di lavorare, più attento al ruolo e al benessere complessivo dei lavoratori. Sarà possibile allora che il concetto di benessere organizzativo si affermi nelle aziende? E soprattutto si potrà agevolare questo processo e come?
  • Attraverso una serie di interventi affidati a storici, sociologi, economisti, giuristi e filosofi, il volume si propone di ripercorrere il cammino della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 dal momento della sua promulgazione a oggi, analizzandola da diverse angolazioni. La tesi di fondo è che, dopo un periodo di offuscamento coincidente con la guerra fredda, a partire dagli anni novanta la Dichiarazione abbia acquistato un rinnovato vigore: si assiste a una ricostruzione forte del soggetto «persona», i diritti vengono riscoperti dalle donne, dagli ecologisti, dai soggetti sociali che erano stati esclusi dalle Dichiarazioni dei diritti settecentesche. Nuovi organismi internazionali sorgono e altri ritrovano un antico vigore. Tutto positivo dunque? Purtroppo no, perché si assiste a una trasformazione delle relazioni globali - sotto il profilo sociale, economico, giuridico, militare - che tende a ostacolare la concreta applicabilità di questi diritti, anche se proclamati e condivisi da un numero sempre più ingente di individui. Sul contrasto tra la crescente sensibilità per i diritti umani e i processi globali che ne rendono difficile il rispetto insiste il filo rosso del volume. Contributi di: Bovero, Costa, Donolo, Ferrajoli, Flores, Leon, Marramao, Resta, Rodotà, Rossi-Doria, Salvati, Senese.
  • Pubblicato nel 1907, L’organizzazione di resistenza in Italia costituisce un documento di primaria importanza per ricostruire l’evolversi dell’organizzazione sindacale in Italia, in particolare per quanto riguarda il quinquennio precedente la costituzione della CGdL, nel novembre del 1906: si tratta di un periodo cruciale, nel quale le vicende del movimento rivendicativo non solo accompagnano la grande e accelerata trasformazione economica, sociale e politica del paese, ma ne costituiscono in un certo senso l’elemento emblematico e maggiormente caratterizzante. Opera postuma di Renato Brocchi, segretario della Camera del lavoro di Macerata tra il 1904 e il 1906, e scomparso nello stesso anno, a soli 24 anni, L’organizzazione di resistenza in Italia, nel testimoniare l’impegno politico e culturale dell’autore, offre un’ampia e articolata sintesi della realtà del sindacato italiano di inizio Novecento, ricostruendo in modo puntuale ed obiettivo le vicende delle camere del lavoro e delle federazioni di mestiere, fornendo dati sulla consistenza e sull’attività delle organizzazioni e ripercorrendo il dibattito e le controversie che opposero le principali correnti all’interno del movimento operaio organizzato. Il volume è a cura di Valerio Strinati.
  • A Sud si può

    15.00 
    Cinque anni di impegno della Cgil per il Mezzogiorno e nel Mezzogiorno. Piattaforme, proposte e iniziative per rivendicare sviluppo e occupazione, per contrastare la chiusura di siti produttivi, per reclamare migliori condizioni di lavoro, per impedire che il territorio fosse utilizzato come un’immensa discarica. Anche nei momenti più difficili di questo inizio del secolo, il Mezzogiorno ha rappresentato il terreno privilegiato di confronto e iniziativa unitaria del sindacato ed il luogo di sperimentazione di intese con le organizzazioni imprenditoriali e con le istituzioni: il Progetto Mezzogiorno del novembre 2004 ed il Protocollo di Reggio Calabria alla fine del 2005 testimoniano la serietà dello sforzo e la concretezza dei contenuti di merito. Le posizioni e le idee della Cgil sono messe a confronto con protagonisti importanti della realtà meridionale impegnati in prima linea in un’azione difficile, e spesso coraggiosa, nelle istituzioni, nell’economia, nelle università, nella magistratura, nel sindacato. Bassolino, Loiero e Vendola raccontano la sfida del governo del cambiamento nei loro territori; Viesti, Cersosimo e Lupo offrono analisi ed indicazioni sulle scelte economiche e sociali; Nerozzi, Bonanni, Pirani e Artioli presentano il punto di vista del sindacato e della Confindustria; Barca evidenzia le esperienze e le prospettive dei fondi europei; sui temi della legalità intervengono Rita Borsellino ed il magistrato Tarondo.
  • Questo volume segna l’avvio di un importante e complesso sforzo di ricerca volto a ricostruire la storia del sindacato dei servizi del nostro paese e a colmare, così, una grave lacuna della storiografia sindacale italiana. La Filcams Cgil, in quanto tale, ha una storia relativamente breve. Nasce con il congresso del 18-21 marzo 1960 dalla fusione della Filam (Federazione italiana lavoratori alberghi e mense) con la Filcea (Federazione italiana lavoratori commercio e affini). Acquisisce la sua fisionomia attuale con il congresso del 23-27 aprile 1974 con la confluenza della Filai (Federazione italiana lavoratori ausiliari industria) che raggruppava le guardie giurate, le imprese di pulizia, i portieri e le collaboratrici familiari: i servizi. Alle spalle dell’organizzazione attuale vi sono dunque strutture preesistenti e un mondo del lavoro composito che, nel corso di un secolo, si è venuto incessantemente trasformando, ridisegnado via via, in ragione di questo processo, le forme della sua rappresentanza sociale. Il lavoro di ricerca, che si è deciso di raccogliere in due volumi, ha fatto emergere un materiale ricco, anche se frastagliato per periodi storici e diseguale tra le due federazioni originarie: la Filam e la Filcea, mentre maggiori difficoltà si sono palesate per la Filai. In questo primo volume si ricostruiscono le origini di Filcea e Filam dagli ultimi anni dell’Ottocento fino alla soppressione del sindacalismo libero operata nel consolidarsi del regime fascista. Il volume successivo arriverà fino al 1974 ricostruendo anche la storia della Filai.
  • La presenza sempre più diffusa e radicata di lavoratori stranieri nel tessuto produttivo e sociale italiano costituisce un fattore di innovazione fra i più rilevanti dell’ultimo decennio. Le istituzioni del mercato del lavoro ed il sistema delle relazioni industriali risultano pertanto sottoposte alla necessità di un adeguamento sostanziale sempre più improrogabile. Non meno di quanto si richiede al sindacato in rapporto alla sua funzione di rappresentanza sociale e negoziale di un mondo del lavoro in continua trasformazione. Con il II Rapporto dell’Osservatorio Ires sull’immigrazione si è inteso aggiornare alcune analisi già tracciate nel precedente, edito nel 2000. Questa volta si è focalizzata l’attenzione su tre temi: la funzione positiva dei processi migratori in atto rispetto a specifiche esigenze di settori non marginali dell’economia e della società italiana; il valore di indicatore che in tal senso assume la crescente sindacalizzazione dei lavoratori immigrati, in particolare nelle aree più industriali del paese; l’esigenza di documentare in quale misura sinora le attività di contrattazione a vari livelli abbiano registrato adeguata consapevolezza di questi nuovi dati di realtà e della loro evoluzione. Un contributo di analisi empirica stimolante e relativamente inedito rispetto ad una letteratura sociologica finora poco incline ad indagare i riflessi specificamente sindacali e di relazioni industriali dell’immigrazione nel nostro paese. Nei prossimi mesi l’Osservatorio provvederà a monitorare e a documentare le ricadute che sui futuri sviluppi delle tendenze analizzate nel Rapporto avrà l’applicazione della legge Bossi-Fini, che già dal suo impianto normativo e politico si profila gravida di contraddizioni e di effetti socialmente patologici.
  • Siamo al secondo rapporto dell’Osservatorio Ires sul lavoro sommerso. Oltre 3,5 milioni di lavoratori in Italia sono oggi coinvolti in attività lavorative irregolari. Sono il 15% dei lavoratori e il fenomeno è in continua ascesa (13% nel 1992). La ricchezza prodotta dall’economia irregolare onnicompresiva è pari a circa il 25-26% del Pil. Questi numeri parlano da soli ed evidenziano la politica fallimentare del governo. La gravità del problema è tale che investe le questioni della legalità, dei diritti sociali, della competitività del sistema economico e del sistema Paese. È un problema italiano ma anche un problema europeo. Il volume guarda al contesto socioeconomico e studia in profondità la tematica dell’economia e del lavoro sommerso, tentando un raffronto con le dinamiche europee e delineando possibili ricette di policy. Far emergere il sommerso è dunque una sfida vera per tutto il paese, per le istituzioni e per le parti sociali. Il tutto nell’ambito di un impegno che deve coinvolgere la parte migliore della società che si batte «nella cultura della legalità» per realizzare un vero e proprio «impegno di civiltà» per l’emersione e la regolarizzazione del lavoro nell’ambito di «un piano di legislatura per l’emersione del lavoro e dell’economia sommersa».
  • Il volume illustra la nuova indagine dell’Ires sul lavoro minorile, per la quale sono state realizzate più di 2.000 interviste a ragazzi tra gli 11 e i 17 anni in nove grandi città italiane. Obiettivo principale dello studio è stato di approfondire sia i profili attuali del lavoro precoce, sia i suoi legami con i corsi di vita e le eredità sociali. Si è in tal modo puntato a fornire una ricostruzione dei differenti stadi di sviluppo del lavoro minorile e delle sue condizioni socio-ambientali. Famiglie, stili di vita, percorsi scolastici a rischio di dispersione sono stati tra i temi affrontati per rintracciare motivazioni, presupposti ed effetti delle esperienze di lavoro precoce. Al di là di semplicistiche stigmatizzazioni, i lavori minorili sono apparsi come tasselli di corsi di vita condizionati da specifiche eredità familiari e sociali e quindi difficilmente reversibili: culture familiari e territoriali di riferimento, marcate da condizioni di arretratezza economico-sociale oppure regolate da sistemi valoriali non reinterpretati alla luce delle nuove complessità post-moderne, orientano i minori lungo percorsi che possono con maggiori probabilità condurre a marginalità ed esclusione sociale.
  • I due volumi costituiscono il «Catalogo generale delle raccolte d’arte della Cgil» conservate nelle sue diverse sedi: dal Centro confederale alle Federazioni nazionali di categoria e alle Camere del lavoro. Nel primo volume sono riprodotte in quadricromia, con relativa scheda critica, le opere più importanti e significative, a cui si accompagna la storia del Sindacato Artisti della Cgil. Il secondo volume è invece il repertorio generale e completo delle opere, con le biografie di tutti gli artisti. Questa iniziativa editoriale, sottolinea Epifani nella prefazione, vuole essere «la giusta occasione per aprire una riflessione su quale è stato e quale è il rapporto fra produzione artistica e mondo del lavoro». Coerentemente con questa impostazione, il lavoro critico compiuto dai curatori segnala anche le fasi e i periodi durante i quali il rapporto del lavoro con l’arte è sembrato allentarsi, mentre oggi anche la risposta che un gruppo di artisti ha dato al sindacato con l’offerta di una propria opera in «omaggio al centenario della Cgil» va intesa come «volontà di rilanciare, continuare a incrociare esperienze, sensibilità e pratiche diverse che nel corso di un secolo hanno dimostrato come l’incontro arte-lavoro abbia retto e sia stato proficuo».