• L’integrazione europea ha contribuito e può contribuire a superare i limiti che hanno caratterizzato la cittadinanza delle donne negli Stati nazionali? Il libro suggerisce alcune risposte. Raccoglie, infatti, testi sui temi centrali della cittadinanza europea della donna, accanto a saggi sui problemi relativi ai diritti delle migranti e delle vittime del traffico di esseri umani nell’Unione Europea. Il racconto dell’esperienza di una protagonista della stesura della Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE integra le riflessioni giuridiche sulla Carta stessa e si affianca all’analisi della problematicità delle categorie di sesso e genere nella giurisprudenza comunitaria, mentre la lettura critica delle politiche europee di pari opportunità tra uomini e donne è anch’essa situata all’interno dell’orizzonte tematico della cittadinanza e dell’empowerment a livello sovranazionale. Il libro offre in questo modo punti di vista diversi anche sul complessivo processo di costruzione dell’Europa politica. Costituisce quindi un contributo agli studi e al dibattito sul difficile percorso di integrazione politica dell’UE e uno strumento utilizzabile all’interno dei Corsi universitari di Diritto e Politiche comunitarie, oltre che nei Corsi in Studi delle donne e di genere.
  • Gli italiani, grazie alla loro grande capacità di risparmio, hanno accumulato un patrimonio che li colloca tra i ricchi del mondo. Sotto una situazione mediamente buona si scoprono tante disuguaglianze e situazioni di vera sofferenza. Negli ultimi 15 anni sono cresciute, più che in altri paesi, le differenze sociali. Gli operai, che continuano a essere la classe sociale più rilevante, non progrediscono dal 1992. L’Italia, vocata all’investimento immobiliare, è stata contagiata dal virus della finanza facile. L’abnorme peso della finanza è una delle ragioni dei bassi tassi di sviluppo del Paese dalla crisi del 1992-93. Nella bassa crescita i più ricchi vogliono mantenere alti margini, a danno di tutti gli altri. È già aperto il conflitto, su chi pagherà i costi della crisi. È iniziato l’assalto alla CGIL ostacolo alla riduzione delle retribuzioni e delle pensioni. La sinistra è in profonda crisi d’identità e di rappresentanza, mentre gli operai l’abbandonano. Il vuoto lasciato dai partiti di massa è riempito da una oligarchia sempre più ricca, proprietaria dei mezzi di comunicazione, che condiziona partiti sempre più mediatici. L’Europa potrebbe diventare il motore di un nuovo modello di sviluppo nella pace, capace di affrontare le grandi sfide demografiche, ambientali e sociali. Il libro, partendo da una rigorosa analisi dei dati oggettivi, traccia un quadro realistico della situazione individuando ricchezza e povertà in Italia e tenendo alta l’attenzione sulle diseguaglianze e sulle mistificazioni della finanza e dell’informazione che sono alla base dell’ultima gravissima crisi economica. Attraverso i numeri e le percentuali, porta a galla problematiche concrete alle quali vengono opposte alcune interessanti soluzioni.
  • Sono evidenti i limiti e gli angusti orizzonti politici di un’Unione Europea che tuttora, ancorché sia stato approvato il nuovo trattato costituzionale, si presenta preminentemente come Unione economica e monetaria, come grande mercato da contrapporre nella competizione globale alle potenze concorrenti degli Usa, del Giappone, della Russia e della Cina. La disillusione dei popoli dell’Unione per questo progetto dal basso profilo economicista e mercantile si è manifestata con preoccupante acutezza nelle recenti elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo attraverso tassi di astensionismo ovunque molto alti e addirittura allarmanti in alcuni paesi. È lecito allora domandarsi se vi siano radici culturali e valori di riferimento su cui impegnarsi per costruire un’Unione Europea dei popoli con un forte connotato identitario, in grado anche di trascendere differenze etnico-linguistiche sedimentate nel corso dei secoli e portato di distinte storie nazionali spesso contrassegnate da guerre fra Stati che oggi vogliono unirsi. Di questo si interrogano i Dialoghi sull’Europa con interventi di intellettuali che, senza alcuna presunzione di tirare delle somme, aprono al contrario la discussione sul tema in forma libera, spregiudicata, unilaterale e, proprio per questo, lontana da ogni pesantezza accademica, una forma ricca di stimoli ad approfondire, indagare e replicare con altre unilateralità e provocazioni. Ciò che importa infatti è cominciare finalmente a discutere di Europa in altro modo.
  • Con la Conferenza, di cui nel volume sono raccolti gli atti, la CGIL ha inteso contribuire al dibattito in corso nel paese, in merito a come superare le difficoltà che sempre più pesano sul fronte dello sviluppo della nostra economia. L’analisi parte dalla constatazione che la logica dei "profitti privati e oneri collettivi" con il tempo ha portato a scaricare sul sistema economico, produttivo e sociale nazionale una massa enorme di passività che assorbono fiumi di risorse finanziarie, umane, ambientali. Ne è responsabile un modello di crescita che, pur avendo prodotto nel passato ricchezza e benessere, anche in modo sperequato, è oggi gravato da diffuse e consistenti passività che debbono essere rimosse se si vogliono recuperare importanti risorse aggiuntive per rilanciare il sistema. In sostanza, si è voluto aprire un dibattito stringente su quella che potremmo considerare come una vera e propria "economia dello spreco" che drena una enorme quantità di risorse, e nel contempo si è provato a dimostrare come, investendo queste risorse, per così dire recuperate, sulla qualità del paese, sia possibile sviluppare più ricchezza, più lavoro, più benessere, in sintesi un sistema più sostenibile. Fra gli altri, i contributi di segretari di Federazioni di categoria e di Cgil regionali, di associazioni di imprese, di istituzioni e di: Agnello Modica, Berlinguer, Cantone, Decaillon, Della Seta, Di Salvo, Epifani, Falasca, Fati, Gutierrez Vergara, Gallino, Marcegaglia, Mattioli, Rocchi, Sachs, Soru.
  • Ritrovare l’Istria, raccontare tutta la storia di questa terra e guardare al futuro. È possibile fare tutte e tre queste cose insieme? Forse oggi la risposta è finalmente positiva. Caduti i muri della guerra fredda, le pagine bianche della nostra storia recente cominciano ad essere conosciute più largamente. E si possono affrontare il dramma delle foibe, l’esodo dei giuliano-dalmati, ma anche la guerra di aggressione alla Jugoslavia e la repressione fascista. Ma l’Istria è una sfida anche per il nostro presente. Come altre terre di confine nel nostro continente, questa regione può oggi tornare ad essere luogo di incontro pacifico tra popoli e culture diversi. Con l’integrazione europea i confini non si spostano con le armi: devono invece perdere sempre di più il loro significato di barriera e di esclusione. Riusciremo a costruire una riconciliazione piena che guardi al futuro e non sia smemorata? Le voci raccolte in queste pagine dedicate all’Istria dicono di sì: e il fatto che lo facciano con toni e ragioni diverse fa ben sperare. Sono stati intervistati: Giorgio Benvenuto, Silva Bon, Marina Cattaruzza, Gianni De Michelis, Riccardo Devescovi, Galliano Fogar, Roberto Gualtieri, Riccardo Illy, Predrag Matvejevi´c, Raoul Pupo, Gianni Oliva, Sergio Romano, Giacomo Scotti, Lucio Toth, Maurizio Tremul, Nevenka Troha, Luciano Violante, Demetrio Volcic.
  • Un viaggio alla scoperta di un’altra democrazia possibile. «Una ricerca di forme più forti di politica democratica con cui poter realizzare le riforme radicali alle quali molta gente sta dedicando il proprio lavoro quotidiano». Hilary Wainwright, giornalista di Red Pepper e collaboratrice del Guardian, studiosa di problemi della «global governance», riassume così il senso di questo libro che analizza premesse teoriche e attuazioni pratiche della democrazia partecipativa e che perciò rappresenta un contributo rilevante al dibattito intorno a un’alternativa concreta al neoliberismo. A partire dal caso più noto del bilancio partecipativo di Porto Alegre e arrivando alle esperienze meno note di grandi centri come Manchester, Luton, Newcastle, il libro illustra «come la gente sta attualmente reinventando la democrazia» e risponde alla domanda se la perdita di legittimità dei vecchi modelli istituzionali può trasformarsi in un’opportunità di realizzare nuove forme di potere democratico sia localmente che globalmente.
  • Trent’anni dall’omicidio di Pier Paolo Pasolini e già si sente il rullare dei tamburi intorno a lui, alla sua tragica morte, al suo lavoro di poeta e di regista, alla sua appassionata capacità di intervento sui temi più acuti non solo italiani. È un rullare che spesso è soffocato dai toni sinistri e scandalistici delle cronache postume sulle circostanze della morte e da una difficoltà a chiarire molti aspetti della triste vicenda avvenuta il 2 novembre del 1975, ancora avvolta da dubbi e da sospetti. È una vicenda che resta aperta in attesa di parole serie e definitive, mentre la Tv, dando voce al suo assassino Pelosi, ha rilanciato l’ipotesi di un agguato omicida perpetrato da più persone. Ma chi era, anzi chi è, Pier Paolo Pasolini? Italo Moscati, che ha già studiato e raccontato il grande personaggio - amato soprattutto dai giovani senza distinzioni ideologiche, ma anche odiato e vilipeso da chi non gli perdona di avere sempre ubbidito al forte bisogno di cercare una parola di verità su cui discutere senza pregiudizi -, torna ad occuparsene, proponendosi di cogliere la lezione pasoliniana. Una lezione che consiste nel continuare a interrogarsi e a interrogare, senza rinunciare a prendere posizione. Quante volte, pensando a Pasolini, ci si è chiesti e ci si chiede: cosa penserebbe lui, lui autore dei mordenti «scritti corsari», della vita di oggi, dei temi della clonazione, della crisi della politica, del terrorismo internazionale, della guerra, anzi delle guerre, e così via. Avvolta da brume cupe, la storia del poeta e del regista diventa trasparente se la si esamina con il distacco del tempo e con l’onestà di riconsiderare e approfondire il personaggio e la sua storia.
  • Con questo volume, attraverso la sistemazione, la raccolta e l'utilizzo delle differenti fonti a disposizione, ci si è proposti di ricostruire e documentare la storia delle leghe contadine dei Castelli Romani e la memoria di chi le diresse, evidenziandone il ruolo svolto nelle lotte per la terra all’indomani del secondo conflitto mondiale e fino alla conclusione degli anni cinquanta. Il libro connette la ricostruzione e l’analisi locale con i tratti propri della contestuale vicenda nazionale sia sul piano politico e sindacale, sia rispetto grande alla trasformazione del mondo contadino e bracciantile che sotto la spinta di un radicale processo di modernizzazione industriale i Castelli Romani, il Lazio, Roma e l'Italia tutta si stavano avviando a conoscere. Trasformazione che in quegli anni vede il ribaltamento definitivo dell’asse rappresentato dal mondo dell’agricoltura e dei contadini a favore del comparto industriale e che conseguentemente, nello stesso settore agricolo, influenza una inevitabile progressiva trasformazione delle lotte, dei loro metodi e dei loro contenuti. La conclusione del grande ciclo delle battaglie per la terra e delle occupazioni avviene infatti con l’apertura di nuovi scenari e l’ingresso di nuovi protagonisti: l’avvio delle lotte volte alla conquista dei diritti sociali e di un quadro contrattuale stabile e definito, il protagonismo delle donne nel lungo percorso verso la parità salariale, la centralità dell’azione sindacale e politica messa in campo dai piccoli contadini produttori figli della legislazione di riforma varata a cavallo tra gli anni quaranta e cinquanta.
  • Francesco Renda, che avrebbe dovuto tenere il comizio a Portella quel 1° Maggio del ’47, racconta, da testimone e da protagonista, la vicenda drammatica della strage di Portella della Ginestra per opera della banda di Salvatore Giuliano. Nella forma piana e avvincente della conversazione, a cui è sotteso tutto il rigore del grande studioso, egli sviluppa una chiave di lettura della strage che la colloca nella dimensione internazionale della «guerra fredda», mettendo in luce come, nell’intreccio perverso tra politica, mafia e banditismo, impegnati nella difesa degli interessi economici e politici degli agrari, all’indomani della grande avanzata del Blocco del Popolo nelle elezioni siciliane del 20 aprile 1947, al fondo della strage si inserisca l’esigenza imprescindibile degli Stati Uniti di esautorare le sinistre dai governi nazionali e regionali delle aree strategicamente rilevanti. Da Portella il racconto passa ai cento anni di storia della Cgil siciliana, che affonda le sue radici nel movimento dei Fasci dei lavoratori e che da lì è venuta poi tessendo per tutto un secolo una trama di lotte e di conquiste che hanno collocato la Sicilia e il popolo siciliano, come dice Renda, «sul davanti della storia nazionale e internazionale». Scenario questo che si è reso possibile anche perché quelle lotte sono state illuminate da grandi utopie che, pur non realizzandosi pienamente, hanno permesso di raggiungere risultati importanti. Terzo e conclusivo momento è quello dedicato all’Autonomia della Sicilia e al suo Statuto. A sessant’anni di distanza, conclude Renda, è innegabile che l’Autonomia abbia dato alla Sicilia un’identità che prima non aveva; è pure vero il fatto che alcune sue caratteristiche, come l’esclusività legislativa, sono all’origine di una pregiudizievole condizione di separatezza della vita dell’isola dal resto del paese.
  • Nel proporci i suoi sessant’anni di impegno politico e sindacale Roscani vuole evitare l’ennesima «storia dei gruppi dirigenti» comunisti o socialisti. Preferisce partire dai suoi «lampi di memoria», dalla sezione «storica» del Pci di Ponte Milvio, quella di Enrico Berlinguer, dalla moglie staffetta partigiana, dai mastri edili, dai metalmeccanici «di precisione», dai tranvieri. Da lì si avvia la militanza nel Pci insieme a Valentino Gerratana, a Maurizio e Giuliano Ferrara, a Giuseppe Loy, a Luciana Castellina, a Enrico Berlinguer, a Fausto Bertinotti, a tanti altri. Quindi il salto in Cgil, dove incontra, con Tonino Tatò, Giuseppe Di Vittorio, Franco Rodano, Claudio Napoleoni e dove inizia un percorso impegnativo, con tante e diverse responsabilità. Come scrive Andrea Ranieri: «Nel suo racconto i grandi avvenimenti di cui fu testimone sono parentesi della storia che lui sente più vera, quella del suo quartiere e della sua sezione, a cui resta fedele e partecipe, anche nei momenti più alti del suo impegno nazionale. È lì che ogni volta ritorna, ed è lì che ogni volta verifica, nei rapporti coi compagni ‘di base’, coi suoi fratelli, con gli amici, la verità di quello che nel mondo ha imparato. È lì che rimette coi piedi per terra le ‘verità’ della grande politica, che impara - è anche oggi la sua dote fondamentale - a vedere ogni volta le facce, le storie, che dietro i concetti del parlare politico spesso si nascondono e si perdono».
  • Sapere per

    12.00 
    Un’analisi approfondita dei temi relativi al valore dell’apprendimento in questa fase dello sviluppo che si è soliti definire «età della conoscenza». Un lavoro a più voci che propone al lettore numerosi elementi di riflessione, di valutazione, di conoscenza. Che affronta insieme le opportunità e i limiti delle politiche e dei processi che hanno fino ad oggi caratterizzato l’educazione e la formazione «lungo tutto l’arco della vita». Sullo sfondo il tentativo di considerare i processi di apprendimento come la via fondamentale per sostenere i cittadini di ogni età nei loro sforzi tesi a consolidare e sviluppare le proprie facoltà critiche, la capacità di pensare sul lungo periodo, di avere autonomi punti di vista nell’ambito dello spazio pubblico. E di offrire ragioni e motivazioni per imparare, per fare, per partecipare, non solo attraverso il consumo ma anche attraverso la produzione e lo scambio di contenuti e informazioni reso possibile dallo sviluppo delle nuove tecnologie della comunicazione. Sapere, dunque, per essere più consapevoli, più partecipativi, più liberi. Sapere per vivere vite più degne di essere vissute.
  • Più che una classica biografia che ripercorre la vita privata e sindacale di G.B. Aldo Trespidi, questo libro è un percorso tematico che affronta alcune fasi significative della storia della Filcep e della Filcea, partendo dall’angolo visuale privilegiato di un grande dirigente. Tre gli aspetti specifici su cui è caduta la scelta dei contenuti da approfondire: le partecipazioni statali nell’esperienza del settore chimico, la fase contrattuale dalla fine degli anni sessanta alla fine degli anni settanta e la stagione dell’unità sindacale. Le ragioni sono facilmente comprensibili specie per quanto riguarda gli ultimi due aspetti, legati direttamente all’impegno di Trespidi come dirigente sindacale. Essi costituirono il cuore della sua attività e lo videro direttamente protagonista come segretario della Filcep e della Filcea e come uno dei sostenitori più convinti dell’esperienza unitaria della Fulc. Il tema dell’unità rappresentò un vero e proprio valore di riferimento da sostenere, difendere, concretizzare. La scelta della fase contrattuale è stata dettata dall’importanza che per tutto il movimento sindacale rivestì il periodo a cavallo tra gli anni sessanta e settanta, stagione fra le più alte del sindacalismo italiano che coincise con il momento in cui Trespidi assolse incarichi di maggiore responsabilità. L’esame della questione delle partecipazioni statali investe, invece, una delle più importanti vicende del capitalismo italiano del dopoguerra privilegiando le riflessioni del mondo sindacale, in particolare nell’ambito forse maggiormente coinvolto da quelle stesse vicende: il settore chimico.