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Dal reddito di garanzia all’assegno unico. Gli interventi attuati in Trentino
Nel corso degli anni la Provincia autonoma di Trento ha sperimentato diverse forme di sostegno al reddito per i nuclei familiari in stato di deprivazione o a rischio povertà, come gli assegni per la copertura del minimo vitale e il più recente reddito di garanzia. L’evoluzione delle politiche di inclusione in Trentino ha portato nel 2017 al varo del nuovo assegno unico che riunisce in una sorta di «reddito di comunità» diversi sostegni economici per le famiglie a rischio povertà, per la cura dei figli e per l’inclusione dei disabili. L’Autore prende in esame, quindi, e caratteristiche salienti e le sfide future per una particolare forma di reddito minimo nato all’ombra delle Dolomiti.
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Verso una maggiore inclusività e promozionalità individuale
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Rilanciare le politiche per la coesione sociale
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Quali misure per promuovere occupazione e redditi – Presentazione
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Un welfare per la piena occupazione
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Questa volta è differente? Automazione e lavoro nella quarta rivoluzione industriale
La digitalizzazione, la diffusione dei computer e dei robot e, ora, l’avvento dell’Intelligenza artificiale e di Internet delle cose stanno determinando importanti cambiamenti nella domanda di lavoro. Molti lavori stanno rapidamente svanendo in quanto automatizzati, e questa sostituzione riguarda non più solo quelli manuali, routinari e a bassa qualifica, ma sempre più attività con una importante componente cognitiva e che richiedono qualifiche medio-alte. In questo articolo esamino brevemente due diverse visioni: una che ritiene che siamo semplicemente in una fase di transizione e che, come nelle precedenti rivoluzioni industriali, alla fine il bilancio tra lavori distrutti e lavori creati sarà positivo sia nel numero sia, soprattutto, nella qualità. L’altra sostiene invece che le caratteristiche economiche delle tecnologie di questa rivoluzione industriale sono profondamente diverse da quelle delle precedenti e che il loro impatto sull’occupazione e sull’uguaglianza sociale rischia di essere complessivamente negativo.
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Il reddito di base come dividendo del capitale sociale e piattaforma di un’economia «plurale»
L’articolo discute l’ipotesi di un reddito di base – un trasferimento monetario individuale, universale e non-condizionato – in un orizzonte temporale di lungo periodo. Nelle sezioni 2 e 3 la proposta è difesa dalle due principali obiezioni che la riguardano: quella di violare il principio di reciprocità e quella di essere economicamente insostenibile. In risposta alla prima, il reddito di base è giustificato come uno strumento che distribuisce in modo equo i frutti di un patrimonio comune, costituito dal capitale sociale che ogni generazione eredita da quelle che l’hanno preceduta; per quanto riguarda la seconda, la risposta verte sulla convinzione che gli effetti di riduzione del tempo di lavoro – attesi e desiderati – non sono comunque tali da pregiudicare la base di prelievo dei trasferimenti. La sezione 4 è dedicata al collegamento della proposta con il tema della disoccupazione tecnologica e con la necessità/ opportunità di affrontarlo nella logica di un’economia plurale, della quale il reddito di base è una condizione di realizzazione.
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La parabola della Federazione unitaria Cgil-Cisl-Uil
Il saggio esamina la parabola della Federazione unitaria Cgil-Cisl-Uil, dalla costituzione nel 1972 alla rottura del 1984; tale vicenda storica è collocata all’interno della cornice economica globale, caratterizzata dalla crisi del capitalismo fordista, e all’interno del quadro politico italiano, segnato dalla debolezza delle diverse formule di governo (centro-sinistra, solidarietà nazionale, pentapartito). I principali avvenimenti che si susseguono – dagli accordi generali del 1975 alla linea dell’Eur del 1978, dalla vertenza alla Fiat del 1980 allo scontro sulla scala mobile nel 1984 – mostrano i meriti e i limiti di un progetto sindacale e politico che non ha rappresentato una mera parentesi nella storia nazionale ma un’esperienza significativa, piena di insegnamenti anche per il presente e per il futuro.
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Il sindacalismo di base e il sindacalismo autonomo di fronte alla Federazione unitaria. 1979-1984
Il saggio analizza il ruolo svolto dal sindacalismo non confederale a partire dagli anni sessanta sino alla prima metà degli anni ottanta. In particolare l’autore esamina l’evoluzione storica e le caratteristiche di queste forme di rappresentanza del lavoro nel quadro dei cambiamenti che in questa fase investono il paese da un punto di vista politico, economico e sociale, e che aprono a un maggiore pluralismo in campo sindacale dando vita a forme organizzative e istanze rivendicative che pongono in discussione la legittimità delle tre principali confederazioni, oltre che della stessa Federazione unitaria.
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La stagione unitaria, dai documenti alle testimonianze. Interviste ai protagonisti
La parte relativa alle interviste di questa ricerca si è rivelata una sorta di rafforzamento di quanto si andava trovando nei documenti. Tuttavia, incontrare alcuni protagonisti di quella formidabile stagione ha reso tangibile quello che era stato il trasporto, il lavorio del confronto e dello scontro, nella necessaria discussione per arrivare a una sintesi politica. Attraverso le interviste la pretesa infatti non era tanto di far venire alla luce particolari novità o informazioni inedite, quanto di rendere viva una stagione: Vanni, Ceremigna, Benvenuto, Roscani, Macaluso, Gabaglio, Carniti, ciascuno con la propria testimonianza è riuscito a raccontare come gli anni della Federazione unitaria siano stati di svolta, di crescita, di progresso della coscienza sindacale, sociale e politica.
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Industry 4.0 e la regolazione del lavoro
Le principali tecnologie di Industria 4.0, strettamente intrecciate con i modelli organizzativi della lean production, determinano conseguenze significative sul lavoro in termini di esternalizzazioni, produttività, tempi e saturazioni, controlli sulle prestazioni lavorative, rapporto uomo-macchina. Il carattere non neutrale della tecnologia comporta l’esigenza di un’analisi critica del suo utilizzo, anche per consentire ai lavoratori di partecipare alla progettazione dei sistemi organizzativi e tecnologici.
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Strategia di partito e voto di classe: lo strano caso del Pd del 2018 «partito delle élite»
L’articolo presenta una riflessione teorica e un’analisi empirica (sulle elezioni politiche del 2018) sul rapporto tra classe sociale e voto, con particolare riferimento al Pd. Il declino del voto di classe in Europa occidentale negli ultimi decenni è stato spiegato da un lato in termini di cambiamenti sociali, dall’altro in termini di cambiamento delle strategie di partito. L’articolo si concentra su questo secondo aspetto. A una riflessione generale sul rapporto tra strategia di partito e classiche fratture sociali (e su come il contesto delle trasformazioni della nostra epoca ha limitato le possibilità strategiche dei partiti mainstream, con un dilemma chiave tra responsiveness e responsibility) ne segue una più specifica sulle scelte strategiche del Pd verso le elezioni del 2018, che conduce all’ipotesi che il profilo del voto di classe per il Pd si sia modificato tra 2013 e 2018. Il quesito viene testato empiricamente stimando modelli di regressione Ols e logistica di intenzioni di voto e preferenze partitiche in base a autopercezione di classe, livelli di istruzione e autopercezione degli standard di vita, sui dati di una survey Cawi condotta dal Cise nel febbraio 2018. I risultati della analisi confermano l’ipotesi, e mostrano come il voto al Pd nel 2018 si sia confinato – con effetti statisticamente significativi – alle classi che si autopercepiscono come più alte, e non in termini di istruzione, ma in termini di standard di vita.
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