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L’idea guida di questo saggio è che l’arte, dall’inizio della storia, sin da quando cioè si afferma la divisione del lavoro e nascono le classi sociali, ha sempre avuto a che fare con il potere. Nel corso dei secoli le dinamiche di questa relazione hanno sicuramente influenzato l’arte, senza riuscire a modificarne l’intima essenza. Negli ultimi decenni, tuttavia, il potere tende a centralizzarsi a livello sovranazionale, assumendo una fisionomia che riflette, da un lato, l’affermazione e la naturalizzazione del capitalismo finanziario globalizzato e, dall’altro, il binomio tecnocrazia-ipercomunicazione. Questo nuovo tirannico dispositivo mette a rischio l’arte per come l’abbiamo conosciuta nel corso dei secoli, riportando all’ordine del giorno la questione della sua morte, ben oltre le previsioni di Hegel. Con lucidità e passione, l’autore indaga dapprima i rapporti fra l’origine dell’arte, la sua natura intima e il potere. Successivamente analizza le trasformazioni che questi rapporti hanno subito nel corso dei secoli, e l’attuale dominio dell’ultracapitalismo finanziario globalizzato, trionfante e insieme portatore di una drammatica crisi epocale. Ciò che questo dominio ha prodotto ha finito per trasformare l’arte in una sottomerce, mettendo a rischio la sua sopravvivenza nella plurimillenaria lotta per la difesa della propria libertà e autonomia. Non può sfuggire il valore metaforico e predittivo di questa sconfitta: se l’arte muore, tutto muore. Tutto ciò che conta per chi ha a cuore i destini di una umanità che rischia di essere messa definitivamente in ginocchio. In questa denuncia è riposto il senso profondo di questo libro.
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In tempi di crisi le politiche macroeconomiche di redistribuzione dei redditi e delle ricchezze non bastano. È giunto il momento di avviare un percorso nuovo fatto di microprogetti definiti e misurabili in grado di rimuovere le disuguaglianze che si manifestano nella concreta vita delle persone. Di disuguaglianze si parla sempre di più, ma per attenuarle si fa sempre meno. Disuguaglianze nella salute, nell’istruzione e nella cultura, nel lavoro, nelle relazioni sociali, nella qualità dei servizi. La crisi, si dice, rende più difficile spostare risorse dai ricchi ai poveri. E allora se il PIL non crescerà più come prima dobbiamo rassegnarci a disuguaglianze crescenti? No, perché creare più uguaglianza e più benessere si può. Dopo un documentato esame delle disuguaglianze nel corso della storia, della loro relazione con crescita e globalizzazione, dell’evoluzione del pensiero filosofico e religioso in materia, fino alle nuove teorie delle disuguaglianze, l’autore propone di combatterle agendo dall’alto e dal basso. Dall’alto con nuove politiche macroeconomiche: redistribuzione delle ore di lavoro, reddito e lavoro di cittadinanza attiva, maggiore progressività del prelievo su redditi e ricchezze. Dal basso con progetti definiti e misurabili in grado di abbattere le disuguaglianze che si manifestano nei diversi aspetti che determinano il benessere delle persone. I nuovi indicatori di Benessere Equo e Sostenibile – alla cui costruzione l’autore ha contribuito partecipando ai lavori della Commissione Istat-Cnel– possono aiutarci ad individuare dettagliatamente le tante disuguaglianze da ridurre. E allora perché non rispondere con altrettanto dettagliati progetti territoriali capaci di rimuovere gli ostacoli per un’uguaglianza effettiva, concreta e condivisa? Un piano d’azione preciso che può riassegnare alla politica un primato sull’economia e riaffermare la funzione, fondamentale, degli enti locali.
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Le donne sono una percentuale minoritaria dell’intera popolazione detenuta italiana, appena il 4%.Questa loro scarsa presenza, invece di rappresentare la garanzia di maggiori opportunità e miglior gestione degli istituti che le ospitano, si traduce troppo spesso in invisibilità e irrilevanza, e porta con sé una omologazione all’immagine della detenzione maschile che cancella ogni differenza di genere e ogni analisi che la includa e la comprenda. Questo libro si basa su interviste a donne detenute nelle sezioni femminili delle carceri di Sollicciano, Empoli e Pisa, e nasce dal desiderio di indagare la soggettività delle donne detenute e dare ad esse voce, senza assecondare visioni «patologizzanti» del reato al femminile né facili stereotipi sulla «debolezza» delle donne detenute. Al contrario, lo sforzo è di rintracciare nelle loro biografie, nelle loro autoriflessioni e valutazioni due diverse «mappe»: quella delle sofferenze, dei fattori di stress e dei momenti critici indotti dalla carcerazione, da un lato; e dall’altro, quella delle risorse, delle strategie personali, in una parola della forza e dei fattori di tenuta, resistenza e resilienza, che consente loro non solo di «tenere» durante la detenzione, ma anche, nonostante tutto, di apprendere e immaginare un futuro. Le autrici compiono un’analisi critica dell’istituzione carcere che guarda a possibili trasformazioni: pur consapevoli dell’irrisolvibile, ontologica sofferenza inflitta dalla detenzione, le ricercatrici si muovono nel solco di un «riformismo disincantato», volto a contrastare la quota di «sofferenza aggiuntiva», inutile e ingiusta, basata su un insufficiente riconoscimento di diritti umani e civili inalienabili. Con l’obiettivo di promuovere una cultura e una prassi che supportino – invece che limitare o osteggiare – le strategie di «tenuta» che la differenza femminile mette in campo.
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Il volume, frutto della collaborazione tra l’INCA nazionale e l’Associazione Bruno Trentin - ABT, costituisce un riferimento informativo sistematico di natura analitica, fondato su un quadro interpretativo di vasto respiro delle evoluzioni, degli assetti e delle prospettive dei sistemi istituzionali e delle tutele relative alla protezione sociale del lavoro e a quella sociale complessivamente intesa e arricchito da una documentazione ragionata di riferimento. Il volume si articola in tre parti. I saggi della prima sezione hanno lo scopo di «leggere» lo stato del welfare europeo alla luce delle principali trasformazioni intervenute negli ultimi anni ed evidenziano i tipi di evoluzione, gli stalli e i confronti intorno al modello sociale europeo. La seconda parte è dedicata all’analisi dei diritti sociali in Italia e in particolare alla ricostruzione delle configurazioni attuali e delle principali tappe dei processi di riforma per i tre ambiti di policy coincidenti con l’azione di tutela propria del Patronato: la previdenza, l’assistenza, la salute e la sicurezza sul lavoro. Infine la terza sezione contiene delle schede analitiche che illustrano l’istituzione e l’evoluzione delle principali prestazioni di assistenza e tutela proprie del Patronato da attuarsi a sostegno dei cittadini che ne facciano richiesta, considerata la loro non sempre immediata accessibilità e piena fruibilità. Il volume ha dunque una duplice valenza. Oltre che di «guida» per gli operatori del sistema INCA (e non soltanto), di tipo politico-culturale per la diffusione delle conoscenze in tema di welfare e diritti sociali evidenziandone opportunità e criticità, compresa l’informazione sul ruolo del Patronato per il loro esercizio effettivo.
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Nel volume sono raccolti i principali risultati emersi dall’esperienza del progetto EBASCO, che ha avuto tra le sue finalità lo studio delle attuali tendenze migratorie. Per raggiungere tale obiettivo sono stati individuati testimoni privilegiati ed esperti della materia, oltre a diversi protagonisti del mondo giovanile. Il confronto con questi soggetti ha consentito di registrare il salto di qualità verificatosi negli ultimi anni nelle esperienze migratorie internazionali e in particolare in quelle riguardanti l’Italia. Allo studio delle nostre storiche comunità all’estero e al nuovo peso assunto dalle ricerche sulle immigrazioni straniere in Europa e in Italia si sono aggiunte riflessioni più approfondite sulle nuove migrazioni verso l’estero rappresentate da giovani istruiti, spesso laureati e comunque già consapevoli di vivere in nuove società tutte da scoprire. Il volume analizza i termini della questione migratoria nelle sue diverse forme: oltre al contributo di studiosi della materia che delineano gli aspetti emergenti e più generali della questione, sono presenti alcuni saggi di questi giovani e sono riportate esperienze militanti più direttamente collegabili ai territori nazionali. In questo modo i confini degli obiettivi iniziali sono stati ampliati e dilatati. Infatti i vari contributi sono stati raccolti tenendo conto della complessità dei nuovi spazi e tempi delle migrazioni attuali. In altre parole non si tratta di una semplice sintesi del progetto, il volume rappresenta una finestra aperta sulle trasformazioni e i movimenti migratori in atto.
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La ’ndrangheta è una mafia silente da cui genera una pesante coltre di illegalità che sembra avvolgere l’intera Calabria e che non si manifesta sempre e soltanto con macabre scene di violenza, di delitti odiosi, di vendette trasversali. Il libro del fotografo Francesco Arena assume un’altra chiave di lettura del fenomeno ’ndranghetista, e ne coglie la totale pervasività nel tessuto socioeconomico e nel territorio calabresi. Le foto qui raccolte non sono cruente ma narrano la violenza della ’ndrangheta contro l’uomo, la società, l’ambiente, gli illeciti palesi nell’abusivismo edilizio, nelle cattedrali nel deserto, nelle aziende fantasma (figlie delle truffe ai finanziamenti comunitari), nella commistione pericolosa tra pezzi dello Stato e della malavita. Ma Arena coglie anche le bellezze e le eccellenze, perché una Calabria migliore, fatta di intelligenze e onestà diffuse, è ancora pensabile e possibile.
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La mafia vista con gli occhi di un bambino, una nonna coraggio e una battaglia sotto il cielo d’estate. Sono gli ingredienti di questo racconto, ambientato tra le colline di Salsomaggiore Terme. È un’avventura che trae ispirazione dal campo antimafia di «Libera», ed è completata da un diario di quell’esperienza, con le impressioni di chi vi ha preso parte e le testimonianze di chi combatte ogni giorno contro la criminalità organizzata.
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Rosanna, una bimba di tre anni, è il filo conduttore della storia di un clan familiare rom, fatto di personaggi straordinari, in prevalenza donne intrepide e appassionate segnate dall’esclusione e dalla presenza di un capo clan tragicamente dominante. Rosanna ci conduce tra i campi rom di Firenze, Roma e Torino. Scopriamo mondi altri, dove passato e futuro si annullano nel presente. Mondi fatti di suggestioni, di magia, di disperazione e... amore sublime. Per non dimenticare, la sezione del libro posta a premessa della peregrinazione di Rosanna, racconta la storia del Porrajmos, il genocidio del popolo rom nei campi di sterminio della Germania nazista e non solo.
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È la forza delle cose che ha riportato al centro dell’attenzione, non solo italiana, il tema dell’uguaglianza: anzi delle disuguaglianze, perché questo è il dato ormai registrato impietosamente fino al suo punto estremo, il rapido aumento della povertà in gran parte del mondo. La domanda, allora, è se sia possibile ricostruire una società degli eguali. Nel nostro ordinamento costituzionale esistono appigli formidabili volti in questa direzione e in grado di contrastare l’impressionante crescita delle disuguaglianze sociali. L’articolo 3 in particolare mantiene una forza in grado di incidere profondamente sulla realtà odierna. Centro di nuovi conflitti e motore di lotte democratiche che rivendicano un ripensamento degli assetti economici e sociali, il tema dell’uguaglianza esige un serio confronto intellettuale. A questo sono rivolti i saggi pubblicati nel volume per iniziativa della Fondazione Lelio e Lisli Basso - Issoco. contributi di: S. Rodotà, G. Azzariti, E. Denninger, C. Giorgi, L. Pennacchi, L. Ferrajoli, E. Granaglia, E. Pugliese, M. Cattoni, I. Cheresky, M.R. Ferrarese, P. Carniti, P. Costa, S. Sciarra.
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Oggi siamo di fronte a una polarizzazione tra chi lavora troppo (straordinari, aumento degli orari, flessibilità dei turni, intensificazione dei ritmi) e chi lavora troppo poco (part time involontario, precariato, disoccupazione). Eppure potremmo davvero “lavorare meno, lavorare tutti”. Con stile asciutto e taglio divulgativo, Marco Craviolatti ci spiega come. Senza negare il valore del lavoro, ma riconducendolo a una delle tante dimensioni importanti della vita, l’autore, sul solco di illustri studiosi come André Gorz e Pierre Carniti, sovverte l’abominevole equazione “il tempo è denaro” per restituire la consapevolezza del tempo quale risorsa umana, rara e preziosa. E le imprese? Anche loro ci guadagnerebbero. Perché verrebbe stimolata l’innovazione organizzativa e saremmo tutti più produttivi ed efficienti. Da dove partire? Da un cambiamento del modello di produzione e consumo e dall’individuazione di nuovi obiettivi: benessere individuale, giustizia sociale, parità di genere, efficienza ed efficacia produttiva. Il nostro lavoro può ancora avere un valore. Come? Ripensando il rapporto tra qualità della vita e qualità del lavoro, tra lavoro formale e informale. Non si tratta tanto di imporre limiti fissi all’orario di lavoro (le famose 35 ore), bensì di adottare strumenti fiscali, normativi e contrattuali per favorirne la riduzione volontaria (congedi familiari, part time lungo, pensione anticipata) e soprattutto per avviare una progressiva evoluzione verso orari collettivi ordinari “più corti del tempo pieno, più lunghi del tempo parziale”. Il testo esplora questa possibilità, alla ricerca di una quadratura del cerchio tra punti di vista solo in apparenza inconciliabili: un sindacato capace di rinnovarsi, movimenti sociali che coniugano idealismo e pragmatismo, attori economici innovativi e responsabili. Chiamando la politica al suo ruolo dimenticato di indirizzo dell’economia.
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La singolare vicenda umana, sindacale e politica di Giuseppe Di Vittorio (Cerignola, 1892 - Lecco, 1957) si muove intera nella rivendicazione del diritto al lavoro e sul lavoro. La prematura morte del padre che lo fa bracciante per necessità a sette anni e lo costringe a lasciare la scuola gli mostra il massacrante lavoro dei braccianti, sotto il sole dall’alba al tramonto, senza diritti e maltrattati; servi, più che lavoratori. E comprende che il riscatto dei contadini (più avanti di tutti i lavoratori) attraversa eccome il sentiero della rivendicazione ma meglio percorre la via, più nascosta, della consapevolezza. Il testo teatrale qui pubblicato è azione scenico musicale in un atto tutta incentrata sulla necessità di tale consapevolezza. Tre i livelli di drammatizzazione: la recitazione in prosa, l’inchiesta giornalistica e le canzoni. Essi si intersecano senza apparentemente toccarsi, intrecciati su diverso spazio temporale. Il primo è affidato al racconto popolare e popolano della lotta bracciantile; il secondo all’illustrazione giornalistica del-l’azione sindacale; infine le canzoni, in chiave autobiografica, non vissute nel ricordo poetico ma nel pre-sente degli anni raccontati. Dieci i brani che raccoglie il CD musicale alloggiato in terza di copertina; appositamente composti per l’incastonatura nella rappresentazione teatrale, si plasmano - in vernacolo e in lingua - in matrici melodiche della tradizione popolare del Sud Italia, riavvolte in più moderne sonorità con raffinatezza dagli Jurnatér, compagine folk di stanza a Milano ma per buona parte d’italico meridione.
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I cinquant’anni dalla nascita de L’Astrolabio, la rivista fondata da Ernesto Rossi e diretta da Ferruccio Parri, offrono l’occasione per ripercorrere un tratto significativo della storia recente del nostro Paese attraverso la lettura e l’interpretazione degli avvenimenti politici, sociali, culturali (nazionali e internazionali) che la rivista ha fornito. Negli oltre vent’anni della sua vita, dal 1963 al 1984, L’Astrolabio ha rappresentato un punto di riferimento per un’area dell’opinione pubblica riformista e del mondo politico in generale; le sue pagine sono state veicolo di battaglie importanti, testimonianza di un impegno civile e politico erede della cultura azionista da cui sia Rossi che Parri provenivano. Se oggi è di qualche interesse ricordare quegli anni è anche perché essi presentano delle analogie con il passaggio politico che l’Italia sta attraversando. Allora, all’inizio degli anni Sessanta, il nascente centro-sinistra aveva suscitato grandi aspettative perché segnava una cesura con quasi un ventennio di politica centrista dominata dalla Democrazia Cristiana; oggi l’attenzione e le aspettative sono per un’altra cesura, quella con il ventennio berlusconiano, occasione da non perdere per restituire alla politica e alle istituzioni democratiche la dignità smarrita. Il presente volume e la connessa digitalizzazione della rivista costituiscono un progetto complessivo che nell’intenzione del curatore è volto a salvaguardare un frammento significativo della nostra memoria storica.