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Dopo sette anni dall’esplosione della crisi, le cause che l’hanno originata non sono state ancora risolte e, per molti versi, neanche affrontate. Non si intravede alcun cambiamento nel modello di sviluppo nel breve periodo, benché nel dibattito accademico e istituzionale si affaccino nuove tesi e suggestioni, come il rischio di una «crisi infinita» o la previsione di una «stagnazione secolare». L’epicentro della crisi si è spostato in Europa e le ondate recessive e deflative si sono moltiplicate proprio a causa dell’euroausterità, come ha mostrato drammaticamente la vicenda greca. Il nostro paese ha registrato la maggiore intensità depressiva tra tutte le economie industrializzate, anche per effetto delle debolezze strutturali che già ne avevano caratterizzato il declino e che vanno affrontate dal lato della domanda come dal lato dell’offerta, nel breve come nel lungo periodo, per il lavoro e i salari, gli investimenti e l’innovazione, il welfare e i beni comuni, il benessere e la sostenibilità, la democrazia e il futuro. Per questo, in continuum con il Libro bianco per il Piano del Lavoro 2013 (Tra crisi e «grande trasformazione»), è necessario approfondire l’analisi e l’elaborazione con l’intento di riabilitare la parola «riformismo», il cui oggetto originario è sempre stato il cambiamento del capitalismo. In questo libro rosso si intraprende specificamente la via di una possibile riforma del capitalismo, anche finanziario, la cui anima è contesa nella strong battle fra pubblico e privato; ma si ragiona anche di questioni più propriamente ascrivibili alla democrazia economica e alla democrazia industriale, alle relazioni sociali e alle relazioni industriali, finanche alla governance e alla gestione delle imprese, nella ricerca di un nuovo modello di sviluppo. Saggi, tra gli altri, di: Silvano Andriani, Cristiano Antonelli, Danilo Barbi, Franco Bassanini, Riccardo Bellofiore, Mimmo Carrieri, Paolo De Ioanna, Maurizio Franzini, Francesco Garibaldo, Paolo Leon, Mariana Mazzuccato, Giacinto Militello, Marcello Minenna, Stefano Petrucciani, Michele Raitano, Edoardo Reviglio, Lorenzo Sacconi, Vincenzo Visco
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Sesso e genere sono concetti assai diversi, l’uno determinato dalla biologia, l’altro costruito socialmente. Assumendo tale diversità come punto di partenza del loro lavoro, le autrici propongono un percorso che – offrendo sguardi su storia umana, linguaggio, scuola, maternità, violenza, cambiamento del maschile e sfida ai ruoli di genere rappresentata dalle famiglie omogenitoriali – porta a sottolineare quanto i ruoli socialmente attribuiti a donne e uomini siano culturalmente pre-determinati e rappresentino delle gabbie che perpetuano il dominio maschile e la subalternità femminile, riproducendo immagini di uomo e di donna rigide e stereotipate. L’obiettivo è contribuire a scrivere un’altra storia, oltre i destini, che dia spazio al libero pensarsi. Come scrive la vicepresidente del Senato Valeria Fedeli, «le autrici hanno saputo affrontare, con rara competenza e completezza, le riflessioni su quelle definizioni del femminile e del maschile ancora vincolate a predeterminati destini, assai limitativi per chi intende osservare i cambiamenti del mondo e desidera interpretarli alla luce di valori non negoziabili come la solidarietà, l’uguaglianza, la libertà».
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Il volume è dedicato al grande matematico italiano Bruno de Finetti nel trentennale della scomparsa, commemorato di recente dall’Accademia nazionale dei Lincei di cui fu socio autorevole. Bruno de Finetti, di elevato prestigio internazionale, è soprattutto noto per essere tra i fondatori della concezione soggettivistica della probabilità, che con i suoi teoremi assunse definitiva sistemazione scientifica. Ma ha dato significativi contributi anche alla disciplina economica e alla riflessione riformatrice per un mondo «accettabile» sul piano individuale e della collettività; in ricercata coerenza con la sua concezione probabilistica che è stata pertinentemente considerata la «logica dell’incerto». Contro ogni determinismo e intolleranza intellettuale, particolare attenzione dedicò anche alla didattica che rifiutasse ogni forma di indottrinamento passivo, ma che suscitasse le autonome capacità logico-intuitive dei discenti. Il volume, nel pubblicare alcuni suoi scritti significativi, mette in evidenza la sua statura di economista, di riformatore sociale e di persona impegnata nella difesa dei diritti civili, per la quale rischiò anche l’arresto. In particolare viene ricordata un’esperienza unica nel panorama intellettuale ed economico in Italia: quella dei corsi CIME (Centro Internazionale Matematico Estivo) diretti dal Nostro, da metà anni sessanta a metà anni settanta. Corsi che videro la presenza di alcuni tra i massimi economisti internazionali e a cui parteciparono molti giovani economisti italiani, oggi accademici. Bruno de Finetti (Innsbuck, 13 giugno 1906 - Roma, 20 luglio 1985). Laureato in matematica nel 1927, è subito assunto all’ISTAT dove lavora sino al 1931, per passare poi alle Assicurazioni Generali di Trieste che lascia nel 1946 per dedicarsi all’insegnamento. Libero docente già dal 1930, insegna prima all’Università di Trieste dal ’47 al ’54 e poi a Roma. Presso la Facoltà di Economia dell’Università di Roma insegna matematica generale e finanziaria sino al 1961. Si trasferisce poi alla Facoltà di Scienze come titolare della cattedra di calcolo delle probabilità, che tiene sino al 1976. È autore di oltre 300 lavori scientifici, che spaziano dal calcolo delle probabilità alla matematica attuariale, dall’economia alla teoria delle decisioni, dalla filosofia della probabilità alla didattica della matematica. La sua opera più importante, tradotta in molte lingue, è Teoria delle probabilità (Einaudi, 1970; Giuffrè, 2005). Ha lavorato anche nel campo dell’automazione, della ricerca operativa, dell’organizzazione aziendale e dell’Amministrazione statale. Ha dedicato il suo impegno anche ai diritti civili e a un riformismo sociale a vantaggio degli individui e della collettività. Numerosi i riconoscimenti nazionali ed internazionali compreso quello di socio nazionale dell’Accademia dei Lincei.
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Imprese che falliscono, distretti industriali che chiudono, emergenze ambientali e sanitarie diffuse su tutto il territorio nazionale e centinaia di migliaia di posti di lavoro persi o a rischio. È possibile uscirne e come? È possibile, necessario e urgente attraverso processi di conversione ecologica che tengano assieme dimensione ambientale e aspetto sociale delle produzioni. Dalla ristrutturazione delle linee produttive al tipo di prodotti, dagli acquisti verdi agli appalti, dalla transizione energetica alla ricostruzione di filiere locali, dal chilometro zero al consumo condiviso, dalla formazione permanente dei lavoratori alla rigenerazione di spazi in degrado: un’antologia di riflessioni teoriche, strumenti concreti ed esperienze in marcia per riconvertire il modello economico rendendolo sostenibile, giusto e redistributivo.
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Un eccentrico «testo di storia», che parte dalla centralità della realtà delle donne nel mondo musulmano. Mondo musulmano che non è certo un tutto unitario. Il movimento emancipatorio delle donne per i diritti nell’ambito famigliare e sociale, il «femminismo di Stato», il «femminismo islamico», sono fenomeni trasversali a questo mondo vastissimo, ma vanno collocati in contesti storici e geografici molto diversi tra loro. Le storie dei singoli paesi – i cui confini sono sempre mutati, dalla stagione degli Imperi al periodo coloniale e post coloniale – si assomigliano e si diversificano, dall’Egitto alla Siria, al Maghreb; altri sono casi a sé, come, per diverse ragioni, la Palestina, la Turchia, l’Iran; altri ancora vivono drammi senza fine, come l’Iraq, l’Afghanistan, la Somalia, e sono attraversati da contraddizioni profonde, come il Pakistan e la Penisola araba, fino a casi ancora poco conosciuti come l’Indonesia. Queste diverse storie vengono ricostruite intrecciandole con le condizioni di vita e il protagonismo delle donne, ma non senza aver prima illustrato l’islam, i suoi testi, la sua storia, le divisioni religiose. Oggi la situazione è drammatica, ma, secondo le autrici, sarebbe sviante credere che ciò non renda ancor più combattivo e propositivo il protagonismo delle donne musulmane che questo libro vuole illustrare; un libro basato su un ascolto diretto della voce delle donne del mondo musulmano, perché «la voce dell’altra va presa sul serio, quale premessa alla richiesta che la propria voce venga ascoltata».
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Per lunghi anni alla crisi del sistema produttivo, sociale e politico imperniato sulla grande fabbrica fordista si è accompagnato un progressivo vuoto di analisi sui tentativi dei vari capitalismi di cercare nuove strade anche sfruttando il ciclone Internet. Dentro la crisi le questioni di fondo sono diventate la speculazione finanziaria e Wall Street. Sul «postfordismo» ha invece soffiato con forza il vento dell’Est, non solo perché la Cina è diventata l’officina del mondo, ma soprattutto perché la lunga stagione del metodo Toyota, della lean production, del just in time, della partecipazione in via gerarchica ha cambiato le culture manageriali e imposto un nuovo aziendalismo nel rapporto con il sindacato. Ha influito sulla trasformazione delle forme organizzative dei partiti e delle culture politiche ormai «né di destra, né di sinistra». È mutata la stessa condizione esistenziale delle persone, sempre più flessibile e precaria. Nella quotidiana pratica sindacale non sono mai venuti meno i tentativi di indicare alternative a questi processi, ma tante sono state le occasioni perse. In Italia c’è stata l’anomalia del più grande partito comunista dell’Occidente; oggi c’è l’anomalia della mancanza di un partito che faccia del lavoro il fondamento del suo programma. Ricostruire il percorso che ha portato a questo esito e farlo dal punto di vista delle persone che lavorano nelle manifatture come nel web può contribuire a trovare soluzioni per una rinnovata azione sindacale e politica.
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La sinistra è in declino, tramortita e smarrita. Comprendere le ragioni della sua sconfitta è un compito arduo. Delineare un nuovo orizzonte che la rilanci come forza di governo dell’attuale passaggio d’epoca sembra una missione impossibile. Una via si può trovare se si parte da un’attenta analisi della grande recessione del 2008/2009, che sancisce la fine del ciclo neoliberista affermatosi a partire dagli anni ’70 proprio grazie alla sconfitta del movimento operaio. L’autore propone perciò una riflessione sul rapporto tra crisi economica, crisi ecologica, bolla finanziaria, crescita delle disuguaglianze e decadenza dello Stato. Ne emerge il limite di una sinistra che ha pagato la mancanza di una strategia di trasformazione dello Stato che consentisse al compromesso keynesiano di tenere il passo dell’inevitabile processo di globalizzazione. L’inadeguatezza degli Stati nazione e del vecchio ordine internazionale ha prodotto il dominio della grande finanza e delle multinazionali. Le conseguenze si sono rivelate devastanti. Il prezzo pagato in termini di sofferenze, di precarietà, di impoverimento di grandi masse, di guasti all’ambiente, di perdita di speranza e di futuro, è enorme. Il mondo pare condannato ad una stagnazione secolare: una crescita debole e fragile, che non produce piena occupazione, permanentemente esposta a rischi rilevanti. La sinistra può rialzarsi se si propone come la forza che vuole ricongiungere politica e potere attraverso la costruzione di uno Stato di dimensioni europee, passaggio decisivo per un nuovo ordine internazionale, e una nuova politica della Moneta, al servizio non solo del sistema finanziario e del mercato, ma anche di un intervento pubblico orientato ad una ristrutturazione ecologica dell’economia e alla lotta alle disuguaglianze.
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L’androgino è uno degli archetipi che hanno formato la storia dell’umanità; il libro indaga sulla figurazione attuale di un mito che ha attraversato i secoli e le culture più diverse. Il tema dell’androgino oggi descrive una tendenza che, nelle sue più differenti espressioni, si sta rivelando molto presente. Le autrici e gli autori del libro colgono l’androginia nelle sue esplicite presenze, nella politica, nella moda, nello spettacolo, nei differenti linguaggi culturali, letteratura, arte, cinema e altro ancora, ma anche negli stili di vita, nelle scelte personali, relazionali e culturali. L’androgino è tra noi: immagini tradizionali di femminilità e maschilità vengono continuamente erose e nello stesso tempo esasperate, esibite, proposte a modello; le vite di donne e uomini si avvicinano, condividono spazi e tempi in forme impensabili per il passato; si moltiplicano le ricerche di identità sessuali, che rifiutano ogni stabile definizione, propongono l’ambiguità o l’ambivalenza come scelte di vita, mescolano ironicamente i modelli, si mostrano ormai refrattarie a ogni integrazione univoca e binaria. E al contempo viene messa in discussione una possibile onnipotenza dell’androgino sul proprio corpo. Differenti punti di vista si confrontano con queste tendenze: dal pensiero femminista, alle nuove riflessioni maschili, al pensiero lesbico, gay e queer.
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Il libro racconta la vicenda intellettuale, politica e umana di Bruno Trentin attraverso la documentazione cartacea e multimediale a lui relativa e la bibliografia dei suoi scritti sulle principali testate della sinistra. Un racconto composto di documenti e di immagini che di fatto narrano il Novecento italiano: la Francia dell’esilio, Padova città universitaria in cui attivare la Resistenza, Milano partigiana, Mirafiori dominata dalla Fiat e poi bloccata dagli scioperi. Le carte documentano l’impegno e il carisma di Trentin nei ruoli di segretario della Fiom, di segretario generale della Cgil e di parlamentare europeo per il Pds nella legislatura 1999-2004. Dall’infanzia e l’adolescenza in terra di Francia alle lotte operaie dell’Autunno caldo fino allo scontro col governo Amato nel 1992 sull’abolizione della scala mobile, si dipana il racconto di sessant’anni di vita italiana passata tra le fabbriche e le scrivanie. Contiene: La persona umana, le trasformazioni del lavoro e le contraddizioni del precariato, l’ultimo intervento di Bruno Trentin (Fermo, 25 maggio 2006). Viene pubblicato, per la prima volta, l’inventario delle carte (appunti e altri materiali) giacenti nella casa di Bruno Trentin alla sua morte.
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Le parole di Giuseppe Di Vittorio sono le parole contenute nella Relazione sul diritto di associazione e sull’ordinamento sindacale (1946) presentata alla Terza Sottocommissione sui temi economici e sociali per la definizione della Costituzione (1948). Sono parole fondative della Repubblica Italiana che rappresentano un fatto inedito, non riscontrabile nella formazione delle Costituzioni dei paesi europei, e identitario della composizione della Carta Fondamentale. Sono parole prime. I saggi che compongono il libro offrono un’interpretazione interdisciplinare (sociologica, storica, giuridica) della relazione, in un testo in cui l’approccio ermeneutico degli autori si rivela scientificamente attento e che, diversamente da una comprensione formalmente rigorosa, manifesta anche il grande interesse di studiosi catturati dal potere delle parole di Di Vittorio. Ne emerge così la qualificazione del diritto di associazione come il presidio più sicuro della libertà della persona, rilevando anche il ruolo fondamentale di Di Vittorio nella definizione del caposaldo lavoristico della Costituzione, e la natura della CGIL. È valutato l’impatto della relazione sulle norme dedicate ai temi del diritto sindacale nonché sul complessivo sistema costituzionale, e il ruolo chiave svolto dal mondo del lavoro nella definizione del Patto costituzionale. Sono, quelle di Giuseppe Di Vittorio, parole prese dalla memoria che, invece di risolversi nell’irrevocabilità di un ricordo, dispiegano ancora tutta la loro forza nella complessa attualità sociale e sindacale.