• La vertiginosa crescita delle incarcerazioni nell’ultimo ventennio ha fatto esplodere il problema del sovraffollamento penitenziario, e con esso quello della qualità della pena nel rispetto della dignità della persona detenuta. Tra timide riforme e occasionali provvedimenti deflattivi, la costruzione di nuove carceri e la saturazione di quelle esistenti continuano a dominare l’agenda politica. La struttura architettonica, la qualità edilizia e la collocazione urbanistica del penitenziario corrispondono alla sua funzione e al modo di interpretare la pena privativa della libertà. Chi si propone di riformare la pena non può rinunciare, quindi, a ripensare lo spazio penitenziario, almeno fino a quando il carcere resterà dominante nelle nostre culture e nelle nostre pratiche punitive. Testi di Sebastiano Ardita, Vittorio Borraccetti, Cesare Burdese, Alessandro De Federicis, Patrizio Gonnella, Francesco Maisto, Corrado Marcetti, Alessandro Margara, Mauro Palma, Sonia Paone, Eligio Resta, Leonardo Scarcella, Adriano Sofri, Maria Stagnitta, Grazia Zuffa.
  • Il contributo analizza le connessioni tra mancata misurazione della rappresentanza datoriale e dumping contrat-tuale. Dopo aver rilevato che, lungi dal potersi descrivere come episodici effetti collaterali del volontarismo contrat-tuale, le possibilità di moltiplicazione (e shopping) negoziale sembrano ormai costituirne i principali elementi di appeal, l’A. si sofferma sull’alternativa tra criteri qualitativi e quantitativi di misurazione della rappresentanza datoriale. Nella parte conclusiva della trattazione, l’analisi verte anche sul costo «economico» del dumping contrattuale e in particolare sulle sue connessioni con il tema del lavoro povero o sotto-remunerato – connessioni ri-enfatizzate nel dibattito a margine dell’adozione della Direttiva dell’Ue su salari minimi adeguati e, da ultimo, nel dibattito in corso, nell’ordinamento interno, sulla possibile adozione di strumenti legali di tutela dei minimi salariali.
  • Il tema della produttività nel nostro paese non sembra più di tanto al centro dell’attenzione né dell’analisi economica né delle Autorità della politica economica, né tanto meno dei commentatori delle politiche pubbliche. Ci si limita a richiamarlo, a evocarlo, a citarlo, ma senza che traspaia (salvo poche eccezioni) la consapevolezza che si tratti di un problema risolutivo per la vita economica e lo sviluppo civile del paese1. Eppure la produttività dovrebbe essere l’argomento chiave dell’analisi economica e delle politiche. ...
  • Il problema della tutela dei diritti, e in particolare della funzione risarcitoria o anche dissuasiva del giudizio di danno nel diritto del lavoro, costituisce uno degli aspetti salienti, a partire dagli anni Ottanta, della pratica processuale. L’orientamento per lungo tempo ha visto prevalere l’affermazione di primazìa della tutela in forma specifica; nelle più recenti evoluzioni normative riemerge invece la tutela per equivalente degli interessi e dei diritti del lavoratore, non per la convinzione che essa sia più effettiva di quella in forma specifica, bensì per i condizionamenti imposti dal contesto di riferimento. Tali condizionamenti sembrano revocare l’assunto della più incisiva effettività della tutela in forma specifica almeno per il danno non patrimoniale e per la violazione delle direttive dell’Unione europea. Il volume offre una rassegna completa delle varie tematiche di più diffusa applicazione, con un approccio pragmatico rivolto a tutti gli operatori del diritto, con particolare attenzione al regime delle prove, anche di carattere presuntivo o automatico. Saggi di: Filippo Aiello, Lisa Amoriello, Amos Andreoni, Giuseppe Ferraro, Fabrizia Garri, Roberto Riverso, Claudio Scognamiglio.
  • Nella prima parte l’articolo analizza la contraddizione presente nel sistema italiano di con- trattazione collettiva tra, da un lato, l’incentivazione del decentramento, che implica una sempre più ampia devoluzione di competenze dal contratto di categoria al secondo livello negoziale e indebolisce la funzione dei contratti nazionali sia di definire i minimi di trat- tamento economico e normativo, sia di coordinare la contrattazione decentrata; e, dall’altro lato, la limitata estensione di questa contrattazione, soprattutto di ambito aziendale. In questa luce l’articolo esamina, poi, il documento Un moderno sistema di relazioni indu- striali, presentato da Cgil, Cisl e Uil il 14 gennaio 2016, per valutare se le modifiche in materia di struttura della contrattazione collettiva in esso proposte siano o meno idonee a risolverne i problemi preservando, però, il modello di sistema contrattuale finora prevalente in Italia: quello del decentramento organizzato e coordinato dal centro.
  • L’Italia attraversa ormai da quasi tre decenni una crisi strutturale della crescita economica. Le riforme del mercato del lavoro, la moderazione salariale, le politiche di «austerità espansiva» e la deregolamentazione dei mercati reali e finanziari non sembrano aver contribuito a invertire la rotta declinante tracciata dal sistema produttivo italiano quanto piuttosto ad aggravare un quadro già deficitario di produttività, investimenti e tecnologia. Nell’articolo utilizziamo la cosiddetta «contabilità della crescita» per isolare i fattori che sono alla base di questa deriva. Il quadro macroeconomico che ne emerge mostra che il deterioramento della crescita, maggiormente accentuato dal 2008 in poi, ha carattere strutturale e coinvolge sia i settori produttivi tradizionali che quelli tecnologicamente avanzati.
  • L’indagine sulla rappresentanza a Parma pone al centro dell’analisi la percezione del delegato sindacale. L’indagine è costruita su un campione composto da oltre 300 delegati. Si propone di analizzare non solo la composizione socio-anagrafica dei rappresentanti dei lavoratori, ma anche quale dimensione motivazionale prevale nella scelta sindacale, quale sia la relazione tra rappresentanza politica e rappresentanza sociale, come sia percepita l’immigrazione e la qualità delle relazioni che il singolo delegato instaura con la direzione aziendale, i lavoratori e l’organizzazione sindacale.
  • Soprattutto oggi e in Italia, quella della pena e della sua esecuzione è – per il Capo dello Stato Giorgio Napolitano – «una questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile» che ha raggiunto un «punto critico insostenibile […] per la sofferenza quotidiana – fino all’impulso a togliersi la vita – di migliaia di esseri umani chiusi in carceri che definire sovraffollate è quasi un eufemismo». Per restituire il carcere alla sua vincolante dimensione costituzionale, orientata al recupero sociale del reo e al pieno rispetto della sua dignità personale, è necessario tornare ai fondamentali del diritto e dei diritti, attraverso una riflessione plurale, documentata, non reticente. Il volume risponde a tale esigenza, proponendo gli interventi svolti nel ciclo di quattro incontri, promosso tra settembre e ottobre 2011 a Ferrara, per iniziativa del Dottorato di ricerca in Diritto costituzionale dell’Ateneo estense, sul tema del carcere, della pena e delle vittime (della detenzione e del reato). Adoperando come detonatore recenti pubblicazioni di larga diffusione (Il diritto di uccidere, a cura di P. Costa, Feltrinelli, 2010; Contro l’ergastolo, a cura di S. Anastasia e F. Corleone, Ediesse, 2009; La Repubblica del dolore, di G. De Luna, Feltrinelli, 2011; Quando hanno aperto la cella, di L. Manconi e V. Calderone, Il Saggiatore, 2011) i vari contributi si misurano – spesso dialetticamente – con alcuni dei limiti più estremi e insostenibili del momento punitivo ed espiativo: la pena di morte, l’ergastolo, lo statuto delle vittime del reato, le morti e le violenze in regime di detenzione e di privazione di libertà. Saggi di: Marco Alessandrini, Alessandro Bernardi, Giuditta Brunelli, Stefania Carnevale, Pietro Costa, Franco Corleone, Federico D’Anneo, Giovanni De Luna, Daniele Lugli, Luigi Manconi, Riccardo Noury, Andrea Pugiotto, Paolo Veronesi.
  • Il libro – costituito da alcuni saggi e studi recenti (2008-10) – propone un’interpretazione della crisi politica del paese che vede l’origine della fase attuale nella sconfitta della politica di solidarietà democratica. L’omicidio di Aldo Moro (1978), l’uomo politico che con maggior lucidità aveva diagnosticato l’incipiente crisi di regime e stava lavorando a una ricomposizione degli equilibri politici, non segnò solo la fine della politica di solidarietà. Quell’episodio, anche per le sue modalità, interruppe il percorso del progetto democratico-costituzionale che era stato alla base della rinascita del paese, con la conseguenza di snaturare il senso della convivenza nazionale e costringere le istituzioni repubblicane a torsioni innaturali. Dopo il delitto Moro la politica italiana si è caratterizzata per una linea di divisione (che si è ripresentata in varie forme: il preambolo Dc nel 1980, il craxismo, il berlusconismo) che ha comportato l’esclusione «programmatica» di settori essenziali della società (sia masse, sia élite politiche) dall’esercizio del potere. Questa linea di divisione (che perdura ed è all’origine della crisi politica attuale) caratterizza, da oltre un trentennio, una fase di declino civile e politico del paese che la cultura e la politica democratiche non hanno ancora valutato in tutta la sua portata.
  • Condividere le decisioni di interesse generale, o quanto meno confrontarsi con i portatori degli interessi diffusi nella società, costituisce una scelta delle istituzioni europee fin dall’immediato secondo dopoguerra. Gli assetti istituzionali previsti e concretamente adottati sono mutati nel tempo, e sono stati anche molto diversi tra loro. Alla ricostruzione di questa continuità nella diversità è dedicata la prima parte di questo articolo. Cercherò poi di discutere brevemente alcuni effetti di questo approccio, a livello europeo e a livello nazionale. ...