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CM N. 2-3/2024
15.00
€
Editoriale
Aldo Tortorella,
Occhi ridenti
Osservatorio
Pietro Folena,
La lezione di Berlinguer per le sfide odierne e la lotta contro la guerra
Alfonso Gianni,
“Sorvegliare e punire” o della governance europea
Massimo Cavallini,
La rivolta degli studenti Usa per Gaza tra i fantasmi del ’68 e del maccartismo
Anna Maria Merlo,
Contro la destra in ascesa Macron gioca la carta della guerra
Denis Y. Sindete,
L’Africa che cerca la pace. Luci e ombre nel ruolo delle istituzioni continentali
Maria Turchetto,
Sul “tutto strutturato” della guerra e della pace capitalista
Alberto Leiss,
Il patriarcato, la violenza maschile e la violenza bellica
Laboratorio culturale
Roberto Finelli,
L’utopia della terza via. La lezione politica della psicoanalisi
L’antifascismo di Matteotti, a cento anni dal suo assassinio
Andrea Ricciardi,
L’eredità di Giacomo Matteotti
Fabio Vander,
Matteotti: le deformazioni di un centenario
Da Lenin a Gramsci
Guido Liguori,
Il concetto di rivoluzione da Lenin a Gramsci
Gianni Fresu,
Lenin, Gramsci e il paradosso ermeneutico dell’egemonia
Giacomo Tarascio,
La questione agraria dalle «Tesi di aprile» alle «Tesi di Lione»
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L’edile numero 33
13.00
€
Il 9 ottobre del 1963 gli operai edili della capitale, organizzati dai sindacati confederali di categoria, rispondono con una manifestazione di protesta alla serrata decisa dall’associazione dei costruttori (il contesto storico è quello segnato dall’imminente ingresso del Psi nel primo governo di centro-sinistra). In Piazza Santi Apostoli la manifestazione, molto partecipata, viene repressa con inusitata durezza dalle forze di polizia: 500 lavoratori vengono fermati, per 33 di loro scatta l’arresto. Ci vorranno quasi trent’anni per scoprire che a ispirare (e a provocare) l’attacco della Celere ai danni degli operai edili erano stati agenti di Gladio: una sorta di prova generale in vista della progettata liquidazione per vie illegali del Pci e del movimento operaio organizzato da parte dei «poteri forti» dell’epoca. Il libro ricostruisce gli avvenimenti occorsi sessant’anni fa attraverso la voce narrante di Luciana Castellina, al tempo giovane funzionaria del Partito comunista e testimone oculare degli scontri al termine della manifestazione sindacale (fu una dei 33 edili finiti in prigione e in seguito processata e condannata): «Non una manifestazione come un’altra – ricorda oggi – ma uno dei più incredibili, illegali complotti che hanno segnato la storia del nostro Paese».
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Palestina Israele
15.00
€
Mentre consegniamo queste pagine, arrivano storie e immagini di una tragedia dai luoghi di cui si parla nel libro. Quando nelle luminose giornate di maggio intervistavamo donne palestinesi e israeliane, non potevamo immaginare che pochi mesi dopo ci saremmo trovate nel buio di un genocidio. Oltre 30.000 donne, uomini, bambine e bambini palestinesi uccisi da Israele nella striscia di Gaza, e non solo. È una storia che viene da lontano, non solo dal 7 ottobre. Una storia coloniale. In Palestina e Israele andiamo da anni, per impegno, amore forse, verso un luogo, le sue abitanti, le loro vite. Tra il 2022 e il 2024 abbiamo raccolto storie di donne palestinesi che vivono in quei territori, di israeliane, meno numerose di un tempo, che gridano la necessità di un’altra Israele, e di donne italiane che sono andate là partendo da qui, per restare una settimana o 25 anni, per tradurre in concreto parole difficili come giustizia e solidarietà. Storie che vengono da Ramallah, Gaza, Nablus, Gerusalemme, Haifa, Tel Aviv, da villaggi e città, e anche dal l’Italia. Luoghi difficili, di occupate e occupanti che condividono la ricerca comune di giustizia per sé e per il mondo. Dopo il 7 ottobre le abbiamo ricercate, a volte senza più ritrovarle. Anche oggi non rinunciano al desiderio di parlare. Sono testimonianze di un legame che vuole, ostinatamente, attraversare i confini più difficili.
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Autonomia differenziata e Premierato: il tentativo della Destra di sovvertire la Costituzione
Il contributo si sofferma sulla posizione della Cgil in merito al disegno di legge sull’Auto-nomia differenziata. Una posizione necessariamente critica poiché per come è stato concepito aumenterà inevitabilmente i divari tra le diverse aree del paese; aggiungerà alla competizione sociale quella territoriale; frammenterà localmente le politiche pubbliche e lo farà su materie di straordinaria rilevanza strategica, a partire dalla scuola. Significa in altri termini rinun-ciare a un governo nazionale e unitario delle politiche economiche, industriali e di sviluppo del paese, a cui si aggiunge la riforma sul premierato. È l’idea della verticalizzazione dei poteri. Per contrastare tutto questo occorre dare vita a una forte coalizione anzitutto sociale e culturale che affermi un’altra idea di democrazia.
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«All I need is a job!» Giovani madri sole richiedenti asilo tra spinte di autodeterminazione e sfide di conciliazione
Questo contributo approfondisce le traiettorie lavorative di madri richiedenti asilo, «ospitate» in un Centro di accoglienza straordinaria a Verona, all’interno di un progetto dedicato a madri migranti sole. Adottando una prospettiva intersezionale, il contributo ripercorre le loro narrazioni, mettendo in luce, da un lato, i loro desideri di emancipazione, dall’altro, le barriere che incontrano lungo il percorso di inserimento, soprattutto in termini di conciliazione lavoro-cura, in quanto giovani donne, migranti, con status giuridico precario e madri con figli a carico.
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Il modello sociale europeo in infinita trasformazione?
L’articolo ripercorre alcune delle più importanti evoluzioni registrate nel modello sociale europeo, con particolare riguardo al Pilastro europeo dei diritti sociali. Quest’ultimo, riprendendo alcuni convincimenti originari del progetto europeo, è tornato a sottolineare la complementarità fra dimensione sociale e crescita nonché le ragioni intrinseche, in termini di giustizia, alla base delle politiche sociali. Il gap fra obiettivi fissati e risultati ottenuti rimane, tuttavia, elevato e nuove esigenze di intervento si profilano in presenza delle sfide poste dalla doppia transizione ecologica e tecnologica. Affrontare tale situazione richiede cambiamenti nella governance sociale dell’Unione europea nonché un’estensione delle politiche sociali sovra-nazionali europee.
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Convergenza o divergenza delle strutture produttive europee?
Il contributo affronta il problema della vulnerabilità dell’Europa alla luce delle due sfide della transizione verde e digitale da un lato e del cambiamento del contesto economico e politico internazionale dall’altro e analizza brevemente la risposta dell’Ue e i potenziali problemi per l’Italia. Sulla base di questa analisi si conclude che, sebbene sia chiara la necessità di una governance a livello europeo, questa dovrà gestire forti conflitti di interesse sociali ed economici tra paesi e all’interno dei paesi. La nuova politica industriale deve dunque porsi l’obiettivo prioritario di non lasciare indietro nessuno, di ridurre gli squilibri fra le regioni, i paesi e i cittadini europei per non rischiare di minare irrimediabilmente la coesione interna
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L’occasione sprecata: il Pnrr e i mali dell’Italia
In "Pnrr. la grande abbuffata" Boeri e Perotti forniscono una diagnosi spietata degli errori che hanno caratterizzato la concezione e i primi passi del Pnrr italiano: la fretta, la scelta di far ricorso alla totalità delle risorse, l’incapacità di incastonare il Pnrr in un progetto di più lungo periodo sulla trasformazione della società italiana. Questo articolo ripercorre gli argomenti degli autori, in larga parte condivisibili, ed evidenzia alcune assenze nella loro analisi, in particolare riguardo alla coesione territoriale e alle politiche per il Mezzogiorno.
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Pnrr: un piano molto ambizioso, probabilmente troppo
Il contributo si concentra sul Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) a partire dal libro di Boeri e Perotti (2023). Il Piano vuol essere un intervento di finanza pubblica europea e italiana dalle dimensioni poderose, animato dalla volontà di trasformare il futuro avviando le transizioni ecologica e digitale dell’economia, in un contesto di maggiore stabilità macroeconomica e di equità e tolleranza tra le varie diversità presenti nella popolazione. Ma se l’obiettivo è riportare l’economia italiana a crescere in una misura sufficiente a non frenare più lo sviluppo dell’intera Europa, la posta in gioco è anzitutto riuscire a spendere per intero l’immenso patrimonio dei fondi ottenuti, portando a termine le più di sessanta riforme messe in programma e le centinaia di migliaia di progetti previsti. L’obiettivo è molto ambizioso anche in ragione di alcune criticità di fondo che il contributo mette in evidenza: dalla fretta con cui è stato confezionato il Piano alla messa a punto di troppi progetti, spesso mal disegnati e dalle dimensioni eccessive; dagli ambiti di intervento, dove viene trascurata la centralità delle spese sociali, alle effettive difficoltà di gestione, soprattutto per una pubblica amministrazione di dimensioni ridotte e di età media parecchio avanzata, fino alla mancata previsione delle attività e delle spese necessarie ad assicurare nel tempo, dopo la fine del Piano, la manutenzione e gestione degli investimenti effettuati
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Una riflessione filosofica inconsueta ma necessaria: il lavoro tra «oscuramento teorico» e «invisibilità politica»
Nell’ultimo trentennio un velo di «oscuramento teorico» ha gravato sulle problematiche del lavoro, che ha portato in buona misura ad una lunga fase di «invisibilità» politica. L’articolo ne ripercorre le cause ed evidenzia come si sia oggi di fronte ad uno stridente contrasto tra il peso dell’«oscuramento teorico» e l’acutezza dello stravolgimento della vita economica e sociale provocato dai profondi cambiamenti degli ultimi anni. Per sciogliere questo paradosso bisogna chiamare a una vera e propria svolta intellettuale in grado di restituirci la carica «umanistica» trasformativa racchiusa nel lavoro, a partire dalla inscrizione delle problematiche relative in un quadro da «grande trasformazione». Pertanto, per il futuro del lavoro si conferma fondamentale l’alleanza tra filosofia e scienze umane e sociali, tra cuil’economia. Ad essere ribadita è la necessità di una rinnovata elaborazione intellettuale e culturale, in cui le innovazioni non riguardano solo il livello dei contenuti specifici, ma investono quello concettuale retrostante
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L’attivazione fuori mercato nel contrasto alla povertà. I Progetti utili alla collettività: un’opportunità per chi?
Le misure di contrasto alla povertà, in specie gli schemi di reddito minimo iscritti nel para-digma del social investment e dell’attivazione, hanno incorporato in Europa la logica di fondo dell’inclusione attiva e della condizionalità. In questo solco si inserisce, con alcune specificità, l’Italia. L’articolo si concentra sui Progetti utili alla collettività (Puc), inseriti tra le forme di condizionalità e attivazione dal Reddito di cittadinanza e – guardando anche alle recenti misure introdotte dal Governo Meloni, l’Assegno di inclusione e il Supporto per la formazione e il lavoro – ne analizza l’attuazione. L’obiettivo è investigare le implicazioni che derivano dall’obbligatorietà di adesione ai Puc per tutti i beneficiari del Rdc privi di esenzioni, senza considerare l’effettivo grado di occupabilità dei percettori. Più ampiamente l’articolo si interroga sulla torsione workfarista delle politiche di contrasto alla povertà inquadrando l’Italia nel contesto europeo, utilizzando i Puc come punto di osservazione per cogliere le ambievalenze che caratterizando questo tipo di condizionalità in tensione tra welfare ordeals e capacitazione.
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I programmi di Job guarantee. Un’analisi comparativa delle esperienze pilota in Francia, Austria e Belgio
Nonostante la fine dell’emergenza sanitaria e la ripresa dell’economia, disoccupazione e sottoccupazione rimangono alte in molti paesi europei, così come il lavoro precario. Le fasce più svantaggiate del mercato del lavoro sperimentano da anni una condizione di forte vulne-rabilità che né i sussidi, né le politiche attive del lavoro riescono efficacemente a contrastare. Le attuali politiche manifestano l’assenza di un’integrazione con la domanda di lavoro territoriale, vista come questione di cui le politiche di welfare non si possono, né si devono occupare. La Job guarantee ribalta tale assunzione di fondo, mettendo al centro la crea-zione diretta di lavoro «dignitoso». In questo articolo vengono analizzate alcune delle prin-cipali esperienze pilota che sono attualmente in corso in alcuni paesi europei: Austria, Belgio e Francia. Dall’analisi emerge un quadro eterogeneo, con due aspetti comuni di fondo. Il primo è che l’attivazione e la promozione dell’occupabilità da sole non bastano se slegate (come è oggi) da interventi sulla domanda di lavoro territoriale. Il secondo, che la creazione diretta di lavoro sia finalizzata a garantire non solo il lavoro «dignitoso» che manca laddove il mercato non ne crea abbastanza, ma anche quello che serve ed è utile a rispondere ai bisogni insoddisfatti dei territori.
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