• Fin dalla sua nascita, il sindacato ha avuto tra i propri obiettivi il controllo degli orari di lavoro per migliorare le condizioni di lavoratrici e lavoratori. Dalla seconda metà dell’Ottocento in poi nel mondo industrializzato e sviluppato la spinta alla riduzione dell’orario di lavoro è stata elemento permanente nelle strategie sindacali. Se nel XIX secolo erano normali orari di lavoro anche di 12 ore giornaliere, con l’avvento della meccanizzazione è iniziato un graduale ma costante processo di riduzione dell’orario, che nel secolo successivo ha portato – per via contrattuale o legislativa – alle 8 ore giornaliere e alle 40 ore settimanali come orario di riferimento generale. Dall’inizio degli anni '80, ossia da quando il pensiero neoliberista orienta le politiche economiche a livello globale, la tendenza a ridurre l’orario di lavoro si è bloccata, come pure la spinta dei governi a tenere la piena occupazione al centro dei propri obiettivi. Il libro di Fausto Durante mette in relazione il tema dell’orario di lavoro con la crisi provocata dal Covid-19, le sfide poste dal cambiamento climatico e da digitalizzazione e nuove tecnologie industriali, la necessità di costruire una società e un’economia diverse dal passato. L’insieme di questi elementi spinge in direzione di un nuovo impegno per la riduzione dell'orario di lavoro, con vantaggi per la produttività, l'economia, l'equilibrio tra vita e lavoro. Lo dimostrano le tante esperienze che nel mondo si stanno realizzando su spinta di governi e sindacati, così come gli accordi in tante imprese, di cui questo testo dà conto. La domanda a cui rispondere oggi è: può essere il XXI secolo il tempo dei quattro giorni e delle trentadue ore di lavoro a settimana?
  • Contrastare la violenza sulle donne attori, processi e pratiche di un campo in evoluzione
    • La Scuola in ospedale tra sfide educative e complessità relazionali
    • Oltre il proibizionismo. Le politiche di regolamentazione della cannabis
    • La pandemia e l’aggravarsi della povertà
  • Il libro ripercorre parte della storia dell’Udi, Unione donne Italiane, associazione nata nel 1944 dall’esperienza femminile della Resistenza. L’autrice, impegnata da anni nella divulgazione dell’esperienza storica femminile, evoca figure e ricostruisce eventi in un gioco di rimandi tra storia e memoria, attraverso una complessa ricerca di tracce: ricordi, agende, libri, carte del suo archivio privato e preziosi documenti custoditi nell’archivio centrale dell’Unione. Racconta una storia di alfabetizzazione politica di donne in cerca di autonomia e dignità, in una società retta da un sistema patriarcale con un alto tasso di misoginia. Donne tra felici intuizioni, gesti coraggiosi, ambivalenze ed errori. Nella prima parte del libro Rosanna Marcodoppido rilegge, tra dimensione nazionale e realtà territoriali, la lunga ed esaltante stagione dell’emancipazione, la conquista dei diritti nel nome dell’uguaglianza. Nella seconda parte affronta un percorso mai raccontato fino a oggi: riannoda i fili dell’incontro dell’Udi con il femminismo e ricostruisce la lunga e inedita sperimentazione delle forme della politica, avviata con l’XI congresso del 1982. Al centro c’è, sempre, il desiderio di libertà, un desiderio carico di emozioni, intelligenza, passione e fatica. L’obiettivo costante e tenace è la costruzione di una nuova civiltà delle relazioni per una società più libera, più giusta, più inclusiva.
  • Se parliamo degli attentati del Bataclan, di Nizza, Bruxelles e Manchester, in Occidente tutti hanno immediata memoria del terrorismo islamico. La musica cambia se parliamo del terrorismo suprematista e xenofobo: Oklahoma City, Utøya, Christchurch, El Paso. I ricordi si fanno più confusi, in alcuni casi fuorvianti. Eppure sono attentati che hanno causato centinaia e centinaia di morti. Il libro Rete nera analizza le azioni, il pensiero dei killer suprematisti, i loro manifesti politici, che condividono sul web e non solo, i punti di contatto tra nazionalismo e xenofobia. Lo stragista di Utøya elencò già nel 2011 i partiti che avrebbero potuto dare una mano per prendere il potere: Russia Unita di Putin, il Front National di Le Pen, la Lega, Forza Nuova, Fpö, Pvv, Vlaams Belang. Una parte di queste forze avrebbe poi formato nel 2015 un gruppo unico all’Europarlamento e sarebbe anche andata al governo in alcuni Paesi, tra cui l’Italia. E che dire del killer di Christchurch, australiano, che si radicalizza in Europa e fa donazioni ai movimenti identitari di Francia e Austria? Il suo manifesto politico si intitola “La Grande Sostituzione”, come il saggio del francese Renaud Camus. La teoria di base è semplice: gli occidentali bianchi devono ricominciare a fare più figli e gli immigrati devono tornare a casa loro. Per svegliare le coscienze e respingere gli “invasori” ogni mezzo è lecito, stragi di innocenti comprese. Fino a qualche anno fa chi avrebbe potuto immaginare l’assalto al Congresso Usa? Gli Stati Uniti di Trump e la Russia di Putin soffiano sul fuoco del nazionalismo allo scopo di indebolire l’Unione europea? Terrorismo islamico e terrorismo suprematista alimentano allo stesso modo lo “scontro di civiltà” teorizzato da Samuel P. Huntington. Perché i media e l’opinione pubblica danno un peso diverso alle due facce della stessa medaglia? Il libro accende un riflettore su questi temi, finora trascurati e sottostimati.
  • Nel Centenario della nascita del PCI, l’autore – per quattro legislature deputato e stretto collaboratore di Enrico Berlinguer – ci regala, sotto forma di memoriale, la ricostruzione dettagliata della sua esperienza maturata quando giovanissimo, non ancora inquadrato in ruoli di funzionariato politico, viene chiamato dal partito a trasferirsi a Mosca – dove rimane dall’aprile 1958 alla fine del 1964 – per frequentare dei corsi di formazione (alla Scuola superiore di partito e poi all’Accademia di scienze sociali).  Un’esperienza intensa, fatta di luci e di ombre e, sul piano politico, di conferme e di frustrazioni, che Rubbi condivide con una delegazione di giovani militanti italiani (tra cui un simpatico «spilungone milanese», un poco più che ventenne Antonio Pizzinato, destinato a diventare quasi trent’anni più tardi segretario generale della CGIL) e che sarà in quegli anni vissuta, altrettanto intensamente, da diverse migliaia di ragazzi provenienti da tutto il mondo – in particolare dai tanti paesi del pianeta dove erano in corso guerre d’indipendenza anti-coloniali – tutti o quasi accomunati da esistenze segnate da ristrettezze e povertà e dall’impossibilità, da parte delle famiglie di provenienza, di provvedere ai loro studi universitari. Un’esperienza certo non agevole – studi così severi ad una certa età, scrive Rubbi, «quando ormai più che allo studio ci si insegna a come costruirsi una vita» – e che, dopo alterni episodi (a cominciare dal matrimonio contratto nel 1963 con una ragazza moscovita), volgerà al termine, affrettando il rientro in Italia, a seguito di un avvenimento di politica interna sovietica giunto «inatteso e scioccante» a metà ottobre ’64: la brusca liquidazione dai vertici del Cremlino di Nikita Chruščëv. I miei anni a Mosca è indirizzato da Antonio Rubbi ai suoi nipoti americani Giacomo e Giulia, da cui, malgrado l’enorme affetto, si sente doppiamente separato: dal l’immenso Oceano Atlantico e dalla lingua; ma a trarne beneficio siamo anche noi lettori, affascinati dal racconto di dense vicende personali, capaci nello stesso tempo di assumere un valore storico e politico generale.

    Ora, miei cari Giacomo e Giulia, vorrei che mi accompagnaste nel viaggio a Mosca dove, impegnato negli studi, trascorrerò poco meno di sette anni […] io allora ero partito per un viaggio del quale neanche conoscevo l’itinerario e con… mezzo passaporto! […]  Per noi che eravamo destinati alla Scuola superiore di partito (VPŠ) il riserbo era una condizione imposta e voluta sin dall’inizio per non offrire ai nostri avversari politici ulteriori pretesti per alimentare la campagna propagandistica, già senza questo assai nutrita, sulla nostra presunta sudditanza ideologica al comunismo di marca sovietica.

  • QRS N. 1/2021

    22.00 
    • Landini: la necessità di una svolta
    • La didattica a distanza
    • Perché tornano in campo le organizzazioni
    • Lavorare in fabbrica oggi
  • A distanza di un decennio dal pionieristico volume Contro l’ergastolo (che inaugurava la collana delle pubblicazioni de La Società della Ragione) e all’indomani dell’ord. n. 97/2021 della Corte costituzionale, si impone una rinnovata riflessione critica su tutte le modalità di detenzione a vita. Lo fa il presente volume, guardando al «fine pena mai» da ogni latitudine: la tormentata storia parlamentare della sua mancata abrogazione; le sue progressive erosioni ad opera della giurisprudenza costituzionale e convenzionale; i costi esistenziali di una pena perpetua; la sua diffusione nel mondo; le possibili alternative sanzionatorie. Unitamente alla ricognizione delle sue reali dimensioni numeriche e della giurisprudenza in tema di liberazione condizionale, il volume offre così al dibattito pubblico elementi tali da sradicare la (falsa, ma diffusa) convinzione che in Italia, de jure o de facto, l’ergastolo non esista. In Appendice, scritti (di Papa Francesco, Aldo Moro, Salvatore Senese, Aldo Masullo) che, più e meglio degli altri, mostrano come la pena fino alla morte sia l’ambiguo luogotenente della pena di morte.
  • La figura della donna privata della protezione del proprio Stato, in cerca di asilo in un altro paese, non è una novità del nostro tempo. Molte donne nel corso della storia hanno fatto esperienza dell’esilio, e grandi pensatrici del Novecento come Hannah Arendt, Simone Weil, María Zambrano, Ágnes Heller hanno scritto opere di speciale originalità e profondità sulla condizione degli sradicati e dei senza Stato. Caratteristica del presente è la dimensione massiva delle migrazioni forzate femminili, a cui il diritto dei rifugiati, a settant’anni dall’approvazione della Convenzione di Ginevra, ancora stenta a offrire risposte adeguate. La figura della rifugiata mette in crisi concetti consolidati, come quelli di Stato, nazione, cittadinanza, e rappresenta in sé una critica alle norme che sovraintendono all’accoglienza e protezione di chi chiede asilo. Il libro indaga quindi la condizione delle «donne senza Stato» attraverso gli strumenti della teoria politica e del diritto internazionale, discipline che fino ad oggi troppo poco si sono interrogate sulla profondità della sfida che questa prospettiva comporta per le categorie giuridiche e politiche tradizionali. Per restituire vitalità all’istituto della protezione internazionale, in una congiuntura connotata dal rafforzarsi di tendenze repressive e autoritarie, che avanzano norme discriminatorie nei confronti delle donne e mettono al bando la prospettiva di genere nella ricerca così come nella politica, appare imprescindibile ricentrare il discorso pubblico sull’asilo partendo dall’esperienza femminile e dalla consapevolezza che ne deriva: non esiste un paese «sicuro» per le donne.
  • Dopo 17 anni di pubblicazione, il Rapporto sui diritti globali cresce ed evolve, con l’edizione principale che diventa internazionale, viene pubblicata anche in lingua inglese e si focalizza sui diritti umani e sulla lotta contro l’impunità, a partire dalla collaborazione con l’Association Against Impunity and for Transitional Justice (AITJ), che lo promuove.
     
    Quella dei diritti umani e dell’impunità è questione oggi resa più centrale dalla crisi del multilateralismo e dal dilagare aggressivo di nazionalismi e populismi, che stanno implicando un progressivo svuotamento della democrazia e dei suoi istituti, un indebolimento del diritto internazionale e dei suoi strumenti, pericolosi disequilibri a livello globale. Ne è derivato, e lo vediamo tragicamente tutti i giorni, un dilagare di crimini di guerra, di aggressioni territoriali, di violazioni sistematiche dei diritti fondamentali della persona, di repressioni sempre più generalizzate e ingiustificate nei confronti di cittadini e di interi popoli, spesso nell’impotenza di istituzioni sovranazionali. Assieme, vediamo approfonditi altri crimini che violano e compromettono diverse sfere di diritti altrettanto fondamentali, che riguardano le comunità e non solo gli individui, come quelli ambientali, economici, sociali. Crimini di sistema, dei quali nessuno si sente responsabile, ma che sono invece prodotti da precise scelte politiche, economiche, di governo.
     
    Il 2020, con la pandemia di Covid-19, ha portato e sta residuando un drastico peggioramento nei diritti e nelle libertà, così come nella condizione sociale ed economica di milioni di cittadini in molte parti del mondo e ha mostrato con maggior evidenza la pericolosa vulnerabilità del sistema democratico e dello Stato di diritto. La necessità di profondi cambiamenti e di radicali inversioni di rotta è ora più urgente e deve riuscire a imporsi, costruendo maggiore consapevolezza sociale e responsabilità pubblica. Il Rapporto sullo Stato dell’impunità nel mondo è un contributo in questa direzione vitale per le persone e per l’intero Pianeta, per realizzare giustizia e costruire diritti globali.
  • CM 5/6-2020

    1,200.00 

     

    Editoriale

    Aldo Tortorella, La fraternità universale e la legge di Caino  

     

    Osservatorio

    Massimo Cavallini, La sconfitta di Trump e le anomalie della democrazia americana Cesare Salvi, Crisi del governo rappresentativo e modelli alternativi Piero Di Siena, Emergenza per il paese e nuove ipotesi a sinistra Iacopo Scaramuzzi, Chiesa aperta in mare aperto. La strategia di Francesco Stefania Limiti, La Palestina nel buco nero degli “accordi di Abramo”  

     

    Laboratorio culturale

    Luciana Castellina, La compagna Rossana  Aldo Tortorella, La inquieta fedeltà a una idea Rossana Rossanda, Gli operai, le donne, i ritardi della sinistra. Tre scritti Antonio Di Meo, Giuseppe Prestipino, un ricordo Il Pci e le nuove generazioni. Una discussione del 1975 tra Pasolini, Luporini e Amos Cecchi Amos Cecchi, Discutendo con Pasolini. Ieri e oggi  Giuseppe Guida, Frammenti da un “paese rosso”  Giovambattista Vaccaro, Sartre, la morale, la sinistra Giulio Di Donato, Il concetto di philía in Aristotele e in Hegel  Antonio Coratti, Proprietà, Volontà generale e politica in Rousseau Mavì De Filippis, Metrica e biografia nella poesia di Franco Fortini      Schede critiche Pasquale Voza, Benedetto Croce “autonarratore”