• Con questo volume, attraverso la sistemazione, la raccolta e l'utilizzo delle differenti fonti a disposizione, ci si è proposti di ricostruire e documentare la storia delle leghe contadine dei Castelli Romani e la memoria di chi le diresse, evidenziandone il ruolo svolto nelle lotte per la terra all’indomani del secondo conflitto mondiale e fino alla conclusione degli anni cinquanta. Il libro connette la ricostruzione e l’analisi locale con i tratti propri della contestuale vicenda nazionale sia sul piano politico e sindacale, sia rispetto grande alla trasformazione del mondo contadino e bracciantile che sotto la spinta di un radicale processo di modernizzazione industriale i Castelli Romani, il Lazio, Roma e l'Italia tutta si stavano avviando a conoscere. Trasformazione che in quegli anni vede il ribaltamento definitivo dell’asse rappresentato dal mondo dell’agricoltura e dei contadini a favore del comparto industriale e che conseguentemente, nello stesso settore agricolo, influenza una inevitabile progressiva trasformazione delle lotte, dei loro metodi e dei loro contenuti. La conclusione del grande ciclo delle battaglie per la terra e delle occupazioni avviene infatti con l’apertura di nuovi scenari e l’ingresso di nuovi protagonisti: l’avvio delle lotte volte alla conquista dei diritti sociali e di un quadro contrattuale stabile e definito, il protagonismo delle donne nel lungo percorso verso la parità salariale, la centralità dell’azione sindacale e politica messa in campo dai piccoli contadini produttori figli della legislazione di riforma varata a cavallo tra gli anni quaranta e cinquanta.
  • Francesco Renda, che avrebbe dovuto tenere il comizio a Portella quel 1° Maggio del ’47, racconta, da testimone e da protagonista, la vicenda drammatica della strage di Portella della Ginestra per opera della banda di Salvatore Giuliano. Nella forma piana e avvincente della conversazione, a cui è sotteso tutto il rigore del grande studioso, egli sviluppa una chiave di lettura della strage che la colloca nella dimensione internazionale della «guerra fredda», mettendo in luce come, nell’intreccio perverso tra politica, mafia e banditismo, impegnati nella difesa degli interessi economici e politici degli agrari, all’indomani della grande avanzata del Blocco del Popolo nelle elezioni siciliane del 20 aprile 1947, al fondo della strage si inserisca l’esigenza imprescindibile degli Stati Uniti di esautorare le sinistre dai governi nazionali e regionali delle aree strategicamente rilevanti. Da Portella il racconto passa ai cento anni di storia della Cgil siciliana, che affonda le sue radici nel movimento dei Fasci dei lavoratori e che da lì è venuta poi tessendo per tutto un secolo una trama di lotte e di conquiste che hanno collocato la Sicilia e il popolo siciliano, come dice Renda, «sul davanti della storia nazionale e internazionale». Scenario questo che si è reso possibile anche perché quelle lotte sono state illuminate da grandi utopie che, pur non realizzandosi pienamente, hanno permesso di raggiungere risultati importanti. Terzo e conclusivo momento è quello dedicato all’Autonomia della Sicilia e al suo Statuto. A sessant’anni di distanza, conclude Renda, è innegabile che l’Autonomia abbia dato alla Sicilia un’identità che prima non aveva; è pure vero il fatto che alcune sue caratteristiche, come l’esclusività legislativa, sono all’origine di una pregiudizievole condizione di separatezza della vita dell’isola dal resto del paese.
  • Nel proporci i suoi sessant’anni di impegno politico e sindacale Roscani vuole evitare l’ennesima «storia dei gruppi dirigenti» comunisti o socialisti. Preferisce partire dai suoi «lampi di memoria», dalla sezione «storica» del Pci di Ponte Milvio, quella di Enrico Berlinguer, dalla moglie staffetta partigiana, dai mastri edili, dai metalmeccanici «di precisione», dai tranvieri. Da lì si avvia la militanza nel Pci insieme a Valentino Gerratana, a Maurizio e Giuliano Ferrara, a Giuseppe Loy, a Luciana Castellina, a Enrico Berlinguer, a Fausto Bertinotti, a tanti altri. Quindi il salto in Cgil, dove incontra, con Tonino Tatò, Giuseppe Di Vittorio, Franco Rodano, Claudio Napoleoni e dove inizia un percorso impegnativo, con tante e diverse responsabilità. Come scrive Andrea Ranieri: «Nel suo racconto i grandi avvenimenti di cui fu testimone sono parentesi della storia che lui sente più vera, quella del suo quartiere e della sua sezione, a cui resta fedele e partecipe, anche nei momenti più alti del suo impegno nazionale. È lì che ogni volta ritorna, ed è lì che ogni volta verifica, nei rapporti coi compagni ‘di base’, coi suoi fratelli, con gli amici, la verità di quello che nel mondo ha imparato. È lì che rimette coi piedi per terra le ‘verità’ della grande politica, che impara - è anche oggi la sua dote fondamentale - a vedere ogni volta le facce, le storie, che dietro i concetti del parlare politico spesso si nascondono e si perdono».
  • Sapere per

    12.00 
    Un’analisi approfondita dei temi relativi al valore dell’apprendimento in questa fase dello sviluppo che si è soliti definire «età della conoscenza». Un lavoro a più voci che propone al lettore numerosi elementi di riflessione, di valutazione, di conoscenza. Che affronta insieme le opportunità e i limiti delle politiche e dei processi che hanno fino ad oggi caratterizzato l’educazione e la formazione «lungo tutto l’arco della vita». Sullo sfondo il tentativo di considerare i processi di apprendimento come la via fondamentale per sostenere i cittadini di ogni età nei loro sforzi tesi a consolidare e sviluppare le proprie facoltà critiche, la capacità di pensare sul lungo periodo, di avere autonomi punti di vista nell’ambito dello spazio pubblico. E di offrire ragioni e motivazioni per imparare, per fare, per partecipare, non solo attraverso il consumo ma anche attraverso la produzione e lo scambio di contenuti e informazioni reso possibile dallo sviluppo delle nuove tecnologie della comunicazione. Sapere, dunque, per essere più consapevoli, più partecipativi, più liberi. Sapere per vivere vite più degne di essere vissute.
  • Più che una classica biografia che ripercorre la vita privata e sindacale di G.B. Aldo Trespidi, questo libro è un percorso tematico che affronta alcune fasi significative della storia della Filcep e della Filcea, partendo dall’angolo visuale privilegiato di un grande dirigente. Tre gli aspetti specifici su cui è caduta la scelta dei contenuti da approfondire: le partecipazioni statali nell’esperienza del settore chimico, la fase contrattuale dalla fine degli anni sessanta alla fine degli anni settanta e la stagione dell’unità sindacale. Le ragioni sono facilmente comprensibili specie per quanto riguarda gli ultimi due aspetti, legati direttamente all’impegno di Trespidi come dirigente sindacale. Essi costituirono il cuore della sua attività e lo videro direttamente protagonista come segretario della Filcep e della Filcea e come uno dei sostenitori più convinti dell’esperienza unitaria della Fulc. Il tema dell’unità rappresentò un vero e proprio valore di riferimento da sostenere, difendere, concretizzare. La scelta della fase contrattuale è stata dettata dall’importanza che per tutto il movimento sindacale rivestì il periodo a cavallo tra gli anni sessanta e settanta, stagione fra le più alte del sindacalismo italiano che coincise con il momento in cui Trespidi assolse incarichi di maggiore responsabilità. L’esame della questione delle partecipazioni statali investe, invece, una delle più importanti vicende del capitalismo italiano del dopoguerra privilegiando le riflessioni del mondo sindacale, in particolare nell’ambito forse maggiormente coinvolto da quelle stesse vicende: il settore chimico.
  • Prima donna nella lunga storia del sindacato entrata a far parte nel 1980 della segreteria nazionale della Cgil su proposta di Luciano Lama e dell’intera segreteria confederale, Donatella Turtura è una delle figure di spicco del sindacalismo italiano. Lucida interprete dei profondi cambiamenti della società e del mondo del lavoro, il suo impegno nel sindacato è contrassegnato da una costante attenzione ai temi e alle politiche dello sviluppo. La sua intensa stagione politica e sindacale si intreccia con una parte importante della storia italiana del dopoguerra: a capo dell’Ufficio lavoratrici negli anni del boom economico, segretaria generale della Federbraccianti nella complessa fase del processo unitario, entra in segreteria confederale nel difficile tornante rappresentato dagli anni ottanta; ed è di nuovo a capo di una categoria, la Filt, in un momento cruciale per il sindacalismo confederale posto di fronte alla sfida dei sindacati autonomi, ma anche per l’Italia che si appresta ad entrare nell’Europa di Maastricht. La costituzione dell’Osservatorio socio-economico sulla criminalità del Cnel e la direzione del gruppo interdipartimentale «legalità economica» della Cgil la impegnano fino all’ultimo giorno della sua esemplare esistenza. Le analisi, le lotte e l’impegno appassionato di Donatella Turtura sono al centro delle riflessioni e delle testimonianze contenute nel volume, che si conclude con un’appendice documentaria in cui sono raccolti i suoi interventi e i contributi che ha apportato al sindacato, collaborando a ridisegnarne strategie, obiettivi e pratiche politiche.
  • Corciano

    12.00 
    Le domande che tempo fa poneva, da par suo, un grande scrittore come Italo Calvino sono una volta di più utili, oltre che intriganti, per la presentazione di un dibattito interdisciplinare, intenso e partecipato: «Cosa è, oggi, per noi la città? A chi serve? E qual è la sua funzione?». Gli interventi raccolti in questo volume costituiscono, per una parte, l’esito di un lavoro di selezione e rappresentazione di indizi sui caratteri di una trasformazione epocale che ha interessato un comune, piccolo ma strategicamente collocato nel territorio, e per la parte residua, ma non secondaria, il frutto di un dibattito spontaneo, vivace e appassionante. L’avere promosso un primo momento di riflessione sull’identità, il ruolo e le prospettive di Corciano, e l’aver poi deciso di serbarne la memoria con questa pubblicazione è da considerarsi auspicio per il lavoro di saggi e accorti amministratori, i quali, col dono di una visione strategica, sappiano promuovere un percorso di evoluzione della città e delle città che sia condiviso e realizzato dalla città e dalle città.
  • La transizione alla sostenibilità non è un processo indolore. Affermare che essa sarà possibile solo se si trasformeranno i sistemi di produzione e di consumo significa rimettere in discussione modelli culturali e sociali, equilibri economici e politici di enorme vastità e profondità. Non cogliere le implicazioni dirompenti di una simile affermazione può far comodo solo a quelle forze che non ne vogliono fare nulla. La Cgil, il sindacato italiano, non è tra questi. A dimostrarlo è la sua storia, dalla quale emerge la tensione sempre presente nel vivere il rapporto tra ambiente e lavoro. Una tensione, non priva di contraddizioni, che ha portato il sindacato ad avvicinarsi progressivamente, partendo dalle prime lotte per il diritto alla sicurezza nei luoghi di lavoro, passando attraverso l’odioso ricatto «O ambiente o lavoro», a un’idea di sicurezza più generale, tale da coinvolgere i luoghi delle attività produttive e il territorio, i lavoratori e i cittadini, come un fatto unitario e integrato. Per giungere infine a maturare l’orientamento che la qualità dello sviluppo, la sua sostenibilità, si misura con la capacità di garantire la sicurezza non solo ai lavoratori nei luoghi di lavoro, ma anche a tutti i cittadini nell’ambiente naturale. È questo un approdo che carica il sindacato di ulteriori responsabilità perché sarebbe ipocrita ignorare la strada che rimane ancora da fare per tradurre un indirizzo politico generale in una pratica quotidiana, condivisa e responsabile, di milioni di lavoratori e lavoratrici.
  • Orari e lavori

    12.00 
    Le trasformazioni in atto nelle imprese hanno conseguenze particolarmente visibili sugli orari di lavoro. L’organizzazione temporale del lavoro è diventata per le imprese uno strumento per competere sul mercato, mentre sembra appannarsi la capacità delle organizzazioni sindacali di elaborare politiche rivendicative su questo tema. Gli stessi recenti interventi legislativi, dalla direttiva europea 93/104/CE al decreto legislativo 66/03, rendono più complessa la materia, stabilendo nuovi parametri di riferimento alla contrattazione collettiva. Questo manuale vuole essere uno strumento utile per la contrattazione sindacale sui regimi d’orario: senza avere la pretesa di indicare una precisa politica rivendicativa, si propone di mettere in evidenza gli aspetti più problematici e le soluzioni individuate dai contratti nazionali e aziendali nelle aziende industriali e nei servizi paraindustriali. A questo scopo il testo è accompagnato da un CD Rom che, con aggiornamento al dicembre 2006, contiene tutte le normative a cui fa riferimento: testi contrattuali, leggi, circolari e sentenze della magistratura.
  • Nel quadro delle grandi trasformazioni di inizio Novecento, quali l’avvento della società di massa e l’avvio dell’industrializzazione, i contadini e gli operai sono al centro di quella grande stagione di scioperi che, all’alba del nuovo secolo, rivelò la molteplicità delle istanze «di base» e la frammentazione del proletariato italiano. Pari importanza assumono le vicende dei quadri attivi nel periodo immediatamente successivo, quando furono compiute scelte importanti, compendiate nel progetto di fondare un nuovo organismo, la Confederazione Generale del Lavoro. Obiettivo del volume è dunque tracciare le linee di una «storia sociale dell’organizzazione», volta a ricostruire i concreti meccanismi di funzionamento della CGdL. Ne emerge uno scenario appassionante, fatto non solo di mozioni congressuali e piattaforme politiche (finora del resto esaurientemente illustrate), quanto di donne e uomini animati da passioni ideali e interessi materiali, capaci di forti slanci unitari, ma anche di aspri scontri: una storia di grandi scioperi e di quotidianità minuta, sullo sfondo del conflitto sociale e del rapporto fortemente dialettico tra sindacato e partito socialista. Un intreccio complesso, capace comunque di produrre effetti profondi nella società italiana.
  • Viviamo in un’epoca in cui la progressiva e drammatica scomparsa della «città» va di pari passo con il sorgere di un aggregato urbano in continua e inarrestabile espansione. Un «mostro» che divora il territorio, i suoi paesaggi e la sua storia. Restituire la città alla società, ridurre l’edificazione allo stretto indispensabile per allargare lo spazio alla fruizione di tutti i cittadini: ecco l’obiettivo della CGIL vicentina. Comune agli autori di questo libro - e in particolare agli urbanisti Edoardo Salzano, Anna Marson, Marco Guerzoni e Giampaolo Bassetti - è la critica argomentata dello sprawl, ovvero di un modello insediativo disperso che non solo aggredisce la bellezza del paesaggio, ma produce anche uno sviluppo insostenibile, esasperando i fenomeni di separazione sociale e indebolendo il senso di appartenenza a una comunità civile. Di sicuro non sono solo «urbanistiche» - come ha detto il presidente del Consiglio Romano Prodi - le ragioni per cui è profondamente sbagliato ospitare in Italia altre basi USA. Ma le analisi contenute in questo libro sulla vicenda «No Dal Molin» dimostrano che la militarizzazione del territorio porta al suo grave e forse «incurabile» decadimento ambientale. Ecco perché la protesta è divampata così forte a Vicenza e nel Veneto. Qui se ne dà conto anche attraverso le testimonianze di autori come Mario Rigoni Stern, Noam Chomsky, Dario Fo, Moni Ovadia.
  • C’è una ragione speciale che ha indotto la Camera del Lavoro di Brescia e il suo Archivio storico a coronare le celebrazioni del centenario della CGIL con una ricerca sulla strage di piazza della Loggia. Essa risiede nel fatto che quell’episodio rappresenta non soltanto - dal punto di vista storico e politico - il punto culminante della strategia stragista, dell’offensiva materialmente e simbolicamente più tracotante ed efferata portata contro la democrazia, ma anche il luogo dove straordinariamente forte e cosciente di sé si erse la risposta popolare e, in essa, di una classe operaia matura e capace, per diversi giorni, di farsi «Stato», di destituire e sostituire sul campo - perché sola autorità morale riconosciuta - i rappresentanti delle istituzioni, nei quali si individuarono, con immediato istinto politico, i responsabili di inerzie, tolleranze o, peggio, depistaggi, collusioni, nel cui brodo aveva potuto attecchire e alimentarsi l’attacco eversivo. (Dalla prefazione di Dino Greco)