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Del Nepal, la più giovane repubblica del mondo, che sta conducendo un travagliato cammino per l’affermazione della democrazia e dei diritti sociali, poco si conosce. Con l’ascesa al governo, dopo un’inattesa vittoria elettorale, dell’ex guerrigliero Prachanda, che ha messo fine a dieci anni di guerra popolare, i maoisti hanno abbandonato le armi per partecipare al processo democratico. Conflitti sociali e politici, rivendicazioni territoriali ed etniche caratterizzano il complicato percorso di scrittura della nuova Costituzione, repubblicana, democratica, federalista. Mentre il piccolo paese, schiacciato tra i due sub-continenti cinese e indiano, fatica a trovare la strada per uno sviluppo sostenibile che sollevi una larga parte della popolazione dalla soglia della povertà. Il volume, nato dal racconto del viaggio compiuto nel paese nell’aprile del 2009, in occasione del congresso del sindacato Gefont, ci informa sulla storia recente del Nepal, nella speranza di risvegliare l’attenzione per quel vero e proprio crogiuolo di popoli che vive sul tetto del mondo.
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Un’opera collettiva, testimonianze diverse che si dipanano nel ricordo vivo di quel 1968 che, insieme al resto del mondo, avrebbe cambiato in profondità anche l’Italia. Grazie al filo lungo della memoria, con questo volume la Fondazione Giuseppe Di Vittorio e la Federazione dei lavoratori della conoscenza della Cgil, la Flc, ripercorrono così quell’anno cruciale indagando sulle dinamiche, le persone e i processi che avrebbero condotto alla nascita del Sindacato Scuola della Cgil e a una nuova stagione di lotte sindacali degli insegnanti e di produzione culturale senza precedenti nelle scuole e nelle università. Il libro rievoca episodi che richiamano un momento assai alto e partecipato della politica, ricco come non mai di idee, di passioni, di conflitti. Oggi, a più di quarant’anni di distanza, si può forse sorridere degli eccessi ideologici e di una certa adolescenziale supponenza che ne hanno allora animato i protagonisti. A ben guardare, però, ci si accorge di come i contenuti di fondo di quella stagione continuino ad incalzarci e ad interrogarci in profondità.
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Le attività sportive popolari e proletarie sono state scarsamente prese in considerazione nella storiografia del movimento dei lavoratori del nostro Paese, anche se, come quelle in montagna, si sono intrecciate non di rado con passione politica, tensioni sociali e presa di coscienza collettiva. Questo volume si propone di colmare tale lacuna ripercorrendo una storia che già a fine Ottocento, intorno alla Società di mutuo soccorso e alle Camere del Lavoro, vede nascere in Italia le prime forme organizzate dell’associazionismo sportivo dei lavoratori – tra cui quelle dell’alpinismo e dell’escursionismo in montagna –, alle quali si legano le prime rivendicazioni sindacali per conquistare la «vacanza operaia». Con l’avvento del fascismo, insieme a quelle politiche e sindacali, anche tutte le forme di libero associazionismo vengono annientate o assorbite nelle strutture controllate dal regime. Non tutti però si rassegnano, e in quella fase storica un filo rosso, sottile ma resistente, unisce le esperienze dell’associazionismo proletario di montagna e quelle degli alpinisti «sovversivi». Subito dopo la Liberazione, grazie al movimento giovanile unitario e alla CGIL, nascono i Comitati per lo sport popolare e in seguito l’UISP. Arrivando ai giorni nostri, nel volume l’escursionismo e l’alpinismo popolari vengono indagati nel contesto delle vicende politiche e sindacali di un secolo e mezzo di storia del nostro Paese. E tra le pagine si incontrano molti dei protagonisti di questa storia, uniti dall’amore per la montagna, da Tita Piaz a Ettore Castiglioni, da Massimo Mila a Guido Rossa e a tanti altri.
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La presenza delle differenze, che esiste da sempre, si è oggi arricchita di nuovi volti e di saperi «altri» ed è caratterizzata dalla volontà di esprimersi ma anche dalla necessità di essere elaborata ed accompagnata. Una società interculturale non è l’evoluzione spontanea e naturale della realtà, ma è il risultato di un impegno intenzionale e condiviso che va pensato, progettato e organizzato. Donne per le donne è un libro che comunica uno stile di integrazione ed una capacità operativa al femminile: contenuti, valori e realizzazioni di un gruppo di donne che hanno dato vita ormai da più di dieci anni ad un laboratorio di cucito e stireria per il riscatto e la dignità di donne socialmente emarginate, specialmente se donne rom, e come prezioso servizio alla cittadinanza. È la testimonianza che l’assunzione di responsabilità, il coinvolgimento personale e la condivisione di parole e prassi lasciano orme profonde nella trasformazione sociale e contribuiscono a «costruire la storia».
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La nascita della Confederazione Generale del Lavoro nel 1906 rappresenta un nodo centrale della vicenda del movimento operaio e sindacale, non solo perché segnò la costruzione di un grande organismo di rappresentanza dei lavoratori italiani, ma soprattutto perché con questo atto la CGdL si incaricò della responsabilità di assurgere al ruolo di risposta storica al problema dell’organizzazione delle classi subalterne nell’Italia post-unitaria. Un evento che si svolge all’interno del complesso, e spesso contraddittorio, processo di relazione tra Stato, società e modernità che aprì la questione dell’ingresso delle masse lavoratrici e proletarie nella vita pubblica. I documenti qui pubblicati consentono, dopo oltre un secolo di storia del sindacato, non solo di inquadrare le problematiche poste dalla necessità di rappresentanza e organizzazione delle forze del lavoro, ma soprattutto di chiarire la collocazione e la funzione storica della Confederazione Generale del Lavoro nel contesto nazionale e internazionale. Il rapporto tra le forze organizzate dei lavoratori e il sistema economico italiano; la necessità di rappresentare le istanze sociali moderne della società; la capacità di svolgere un ruolo rilevante nella collocazione del movimento dei lavoratori al centro della vita e della sfera pubblica; la costruzione di percorsi di accesso e allargamento dei diritti sociali; le lotte e le mobilitazioni di massa e il rapporto con la società politica rappresentano temi che, se trovano la loro radice all’inizio del secolo scorso, mantengono interamente, pur rimettendone in discussione soggetti, forme e mezzi, la loro centralità anche all’inizio del nuovo millennio.
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Queste sedici storie, raccontate da alcuni tra i più significativi scrittori migranti che scrivono in lingua italiana, tutti residenti nel nostro paese, vogliono essere uno sguardo a più occhi e a più voci sull’Italia di oggi. Ne scaturisce uno scenario spietato, a volte molto amaro, dove gli «italiani brava gente» spesso ne escono con le ossa rotte. Gli autori vengono da Romania, Argentina, India, Cina, Egitto, Palestina, Algeria, Eritrea, Senegal, Congo, Togo, praticamente da ogni parte del mondo. Come scrive Enrico Panini nella prefazione, con intento fortemente politico: «In attesa di una piena e definitiva cittadinanza la scrittura diventa un luogo di accoglienza e integrazione fondamentale. Tanto più che in questo volume gli stranieri sono i soggetti e non solo l’oggetto del racconto, affermano cioè un protagonismo, nella scrittura, che non sempre la nostra società riconosce loro. Non è neanche da sottovalutare il fatto che essi scrivono in italiano: vorrà pure dire qualcosa, questo, se l’uso e il possesso di una lingua sono elementi d’integrazione fondamentale». I temi sono i più diversi, si va dalla condizione di sradicamento sociale e culturale, al lavoro assoggettato e sfruttato, fino a tematiche più private, oppure simboliche legate alle culture di riferimento. Ai racconti degli scrittori stranieri che scrivono in lingua italiana fa da «controcanto» una sequenza di immagini del fotografo Mario Dondero, che ritrae gli emigrati nostri, italiani, degli anni cinquanta e sessanta. Sono ad Eboli, da dove partivano, poveri e affamati, o in marcia durante uno sciopero alla Renault in pieno sessantotto francese, oppure a Marcinelle, nella miniera dove nel 1956 ne morirono 136, braccati dalle fiamme, soffocati dall’ossido di carbonio. E così il cerchio si chiude. La letteratura, le letterature, sono le vere ambasciate nelle nazioni più diverse. Poco diplomatiche, ma estremamente vere, sensibili, e sempre politicamente scorrette.
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Dopo la crisi che ha sconvolto l’economia mondiale, per riprendere il sentiero dello sviluppo, l’Europa, piuttosto che spingere i paesi più fragili dell’Unione verso politiche restrittive draconiane, deve sollecitare una domanda di beni nuovi e di consumi collettivi e favorire corrispondenti politiche dell’offerta ad elevata componente di ricerca. Green economy, beni sociali, «beni comuni» devono essere l’orizzonte strategico del nuovo intervento pubblico. In questo tornante della storia, di fronte all’emergere di nuove grandi potenze, per i paesi sviluppati ad essere in gioco sono dunque le «responsabilità politiche superiori», che in Italia trovano un quadro propizio nelle indicazioni di straordinaria attualità della Costituzione. È questa la convinzione da cui muovono gli importanti contributi pubblicati nel libro che precisano la natura e la qualità che dovrebbe avere il nuovo intervento pubblico nel quadro di politiche macro-economiche e dei redditi finalizzate alla «piena e buona occupazione».
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Questo volume non vuole e non può essere un trattato di sindacalismo a fumetti, né tantomeno la storia a fumetti della CGIL. È «solo» un omaggio, di alcune tra le più belle menti creative del panorama fumettistico italiano ad un’organizzazione che, attraverso l’impegno, l’idealismo, i sacrifici di milioni di persone, ha fatto, e continua a fare, la storia del nostro paese. Gli autori: Claudio Acciari, Alberto Arato, Stefano Babini, Sergio Badino, Bibì Bellini, Michele Benevento, Luca Bertelé, Massimo Bonfatti, Luca Boschi, Laura Braga, Diego Cajelli, Gianni Carino, Emilio Marco Catellani, Marco Cattaneo, Gianluca Costantini, Riccardo Crosa, Michele Dallorso, Aldo Di Gennaro, Luca Enoch, Davide Fabbri, Andrea Ferraris, Francesco Frongia, Cinzia Ghigliano, Vittorio Giardino, Gianfranco Goria, Ro Marcenaro, Giorgio Martignoni, Paolo Martinello, Sonia Matrone, Silvano Mezzavilla, Ivo Milazzo, Paolo Moisello, Andrea Montalbò, Luca Novelli, Giuseppe Palumbo, Stefano Palumbo, Vittorio Pavesio, Davide Reviati, Maurizio Ribichini, Roberto Ronchi, Andrea Rossetto, Pierpaolo Rovero, Fabio Sironi, Sergio Staino, Sergio Tisselli, Alessandro Toccaceli, Marco Tomatis, Alessandro Vitti. Nel volume è presente uno scritto di Tommaso Pincio.
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Il volume riproduce gli atti del convegno, dallo stesso titolo, tenuto a Roma nella Facoltà di Economia della Sapienza Università di Roma, il 9 giugno dello scorso anno. L’occasione fu la presentazione del volume Federico Caffè, un economista per il nostro tempo, Roma 2009. La relazione iniziale di Luciano Marcello Milone mette in evidenza la visione anticipatrice di Caffè in ordine ai problemi internazionali, con particolare riferimento agli aspetti istituzionali e alla crisi odierna. I successivi interventi ritornano su questi temi, ma trattano anche altri aspetti significativi del pensiero dell’economista e del suo riformismo, ben distante da quelli solitamente richiamati. Un riformismo che, lungi dall’affidarsi al provvidenzialismo del mercato e al filantropismo di Stato, fa affidamento sulla responsabile partecipazione del cittadino alla vita democratica e sul consapevole intervento pubblico per superare i due difetti principali che Keynes ravvisava nel capitalismo, e cioè la mancata piena occupazione e la distribuzione arbitraria ed iniqua della ricchezza e del reddito. Arricchiscono il volume alcuni scritti di Federico Caffè, ad avvalorare le tesi sostenute dagli interventi. Scritti ed interventi di G. Amari, A. Celant, G. Epifani, M. Franzini, G. Leone, L. M. Milone, M. Morcellini, N. Rocchi, M. Tiberi, I. Visco.
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Nel novembre 2008 l’amministratore delegato di Mariella Burani Fashion Group, Giovanni Burani, riceve un prestigioso premio a Milano come manager finanziario dell’anno per «aver fatto un uso strategico e raffinato della leva finanziaria». Nell’agosto 2009 il titolo MBFGviene sospeso in Borsa. Nel febbraio 2010 BDH, la società a monte della catena di controllo di MBFG, è dichiarata fallita. Pochi giorni dopo MBFGè dichiarata insolvente. Come è avvenuto che l’impero della moda dei Burani, simbolo dell’Emilia Felix, che dava lavoro ad alcune migliaia di persone, si sia dissolto nel giro di pochi mesi? Come è possibile, dopo il crac Parmalat, che nessuno (banche, organi di controllo, mezzi di informazione, associazioni imprenditoriali, istituzioni) si sia accorto per tempo che il gruppo si andava sgretolando sotto il peso di una montagna di debiti? Perché nell’OPA dell’autunno 2008 i Burani hanno investito decine di milioni di euro in azioni Mariella Burani per acquistare a 17 euro un titolo che meno di un anno dopo sarebbe crollato a poco più di 2 euro? Chi pagherà per questo epilogo?