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«Lavoravo l’intera mattina e nel pomeriggio Matilde batteva a macchina le mie poesie. Per la prima volta vivevamo insieme nella stessa casa. In quel posto dalla bellezza inebriante il nostro amore crebbe. Non potemmo separarci più. Lì ho finito di scrivere un libro d’amore, appassionato e doloroso, che fu pubblicato poi a Napoli, anonimo: Los versos del capitán». Così Pablo Neruda in Confesso che ho vissuto, la sua autobiografia, racconta il momento felice in cui nel 1952, esule ed ospite in una Capri «dal fascino assorbente», conclude la stesura di una raccolta di poesie scritte in vari paesi durante il suo esilio in Europa e che rappresenta uno dei punti più alti della sua opera. L’amore per Matilde Urrutia, sua futura moglie e allora protagonista clandestina di quei versi, la nostalgia del Cile, le passioni civili - racconta il poeta - riempirono le pagine di questo libro, che fu pubblicato per la prima volta anonimo a Napoli nel 1952, in non più di cinquanta esemplari che Neruda, con dedica autografa, donò ad altrettanti suoi amici che ne avevano sottoscritto l’edizione. La pubblicazione «senza firma» del volume, successivamente riconosciuto dal poeta, fu voluta da Neruda perché quelle poesie «di passione brusca e ardente» non avessero a ferire Delia del Carril, allora ancora sua moglie e dalla quale si stava separando. Le opere di Neruda, conosciute in tutto il mondo, non sono state finora mai tradotte in lingua araba. Questa edizione di Los versos del capitán, a fronte del testo spagnolo delle poesie, ne presenta invece la versione in arabo, la prima in assoluto, dovuta a Zuhair Abdul Malek.
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Attraverso una serie di interventi affidati a storici, sociologi, economisti, giuristi e filosofi, il volume si propone di ripercorrere il cammino della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 dal momento della sua promulgazione a oggi, analizzandola da diverse angolazioni. La tesi di fondo è che, dopo un periodo di offuscamento coincidente con la guerra fredda, a partire dagli anni novanta la Dichiarazione abbia acquistato un rinnovato vigore: si assiste a una ricostruzione forte del soggetto «persona», i diritti vengono riscoperti dalle donne, dagli ecologisti, dai soggetti sociali che erano stati esclusi dalle Dichiarazioni dei diritti settecentesche. Nuovi organismi internazionali sorgono e altri ritrovano un antico vigore. Tutto positivo dunque? Purtroppo no, perché si assiste a una trasformazione delle relazioni globali - sotto il profilo sociale, economico, giuridico, militare - che tende a ostacolare la concreta applicabilità di questi diritti, anche se proclamati e condivisi da un numero sempre più ingente di individui. Sul contrasto tra la crescente sensibilità per i diritti umani e i processi globali che ne rendono difficile il rispetto insiste il filo rosso del volume. Contributi di: Bovero, Costa, Donolo, Ferrajoli, Flores, Leon, Marramao, Resta, Rodotà, Rossi-Doria, Salvati, Senese.
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I due volumi costituiscono il «Catalogo generale delle raccolte d’arte della Cgil» conservate nelle sue diverse sedi: dal Centro confederale alle Federazioni nazionali di categoria e alle Camere del lavoro. Nel primo volume sono riprodotte in quadricromia, con relativa scheda critica, le opere più importanti e significative, a cui si accompagna la storia del Sindacato Artisti della Cgil. Il secondo volume è invece il repertorio generale e completo delle opere, con le biografie di tutti gli artisti. Questa iniziativa editoriale, sottolinea Epifani nella prefazione, vuole essere «la giusta occasione per aprire una riflessione su quale è stato e quale è il rapporto fra produzione artistica e mondo del lavoro». Coerentemente con questa impostazione, il lavoro critico compiuto dai curatori segnala anche le fasi e i periodi durante i quali il rapporto del lavoro con l’arte è sembrato allentarsi, mentre oggi anche la risposta che un gruppo di artisti ha dato al sindacato con l’offerta di una propria opera in «omaggio al centenario della Cgil» va intesa come «volontà di rilanciare, continuare a incrociare esperienze, sensibilità e pratiche diverse che nel corso di un secolo hanno dimostrato come l’incontro arte-lavoro abbia retto e sia stato proficuo».
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Questo volume segna l’avvio di un importante e complesso sforzo di ricerca volto a ricostruire la storia del sindacato dei servizi del nostro paese e a colmare, così, una grave lacuna della storiografia sindacale italiana. La Filcams Cgil, in quanto tale, ha una storia relativamente breve. Nasce con il congresso del 18-21 marzo 1960 dalla fusione della Filam (Federazione italiana lavoratori alberghi e mense) con la Filcea (Federazione italiana lavoratori commercio e affini). Acquisisce la sua fisionomia attuale con il congresso del 23-27 aprile 1974 con la confluenza della Filai (Federazione italiana lavoratori ausiliari industria) che raggruppava le guardie giurate, le imprese di pulizia, i portieri e le collaboratrici familiari: i servizi. Alle spalle dell’organizzazione attuale vi sono dunque strutture preesistenti e un mondo del lavoro composito che, nel corso di un secolo, si è venuto incessantemente trasformando, ridisegnado via via, in ragione di questo processo, le forme della sua rappresentanza sociale. Il lavoro di ricerca, che si è deciso di raccogliere in due volumi, ha fatto emergere un materiale ricco, anche se frastagliato per periodi storici e diseguale tra le due federazioni originarie: la Filam e la Filcea, mentre maggiori difficoltà si sono palesate per la Filai. In questo primo volume si ricostruiscono le origini di Filcea e Filam dagli ultimi anni dell’Ottocento fino alla soppressione del sindacalismo libero operata nel consolidarsi del regime fascista. Il volume successivo arriverà fino al 1974 ricostruendo anche la storia della Filai.
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Il decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216 ha attuato nell’ordinamento italiano la direttiva quadro 2000/78/CE sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizione di lavoro e ha introdotto, per la prima volta nel nostro ordinamento, una disciplina relativa al divieto di discriminazione fondata sull’orientamento sessuale. Nonostante l’evidente rilevanza di tale decreto per quanto riguarda i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori omosessuali e bisessuali, la direttiva non è stata attuata in modo completamente soddisfacente e la disciplina introdotta dal decreto legislativo rischia di essere fortemente carente. Scopo del volume è non solo quello di esaminare le numerose questioni giuridiche che il decreto legislativo 216/2003 solleva e, più in generale, la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale sul posto di lavoro, ma anche di ragionare circa possibili soluzioni per gli operatori del diritto, vista l’assenza di giurisprudenza e la carenza del dibattito giuridico in questo ambito particolare. Per la direzione scientifica di Stefano Fabeni, dottorando di ricerca alla Columbia University School of Law di New York, e Maria Gigliola Toniollo, responsabile del Settore Nuovi Diritti della Cgil nazionale, il volume ordina, rispetto alle diverse questioni disciplinate dal nuovo quadro normativo nazionale ed europeo, i contributi di illustri giuristi italiani ed europei. Nell’allegato sono riportati la direttiva 78 del Consiglio europeo, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro; il decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, «Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro»; la proposta di legge n. 4389, «Modifiche al decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216»; le linee guida di un «Codice di comportamento» per l’attuazione della direttiva europea 78/2000 con particolare riferimento alla discriminazione per orientamento sessuale.
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La vita di Giuseppe Di Vittorio è stata una bellissima avventura di un «eroe» del nostro tempo, di un eroe del movimento sindacale italiano e mondiale che si presta ad essere raccontata con tutti i mezzi di espressione; gli storici e gli scrittori hanno scritto molto di lui, autori teatrali hanno messo in scena le sue gesta, molti cineasti hanno tra i loro progetti futuri la vita di questo grande personaggio. Come è stato per altri strumenti in passato, il fumetto rappresenta l’espressione più spontanea e diretta della cultura popolare dei nostri tempi. Raccontare a fumetti la vita di Giuseppe Di Vittorio è perciò anche il modo più immediato e appassionante per raccontare un eroe popolare. La narrazione ha il ritmo di una solida sceneggiatura cinematografica. Inizia con un flashback: due giovani donne ritrovano in una vecchia valigia la fotografia di Di Vittorio, grande amico del loro nonno. Da questa foto con la scritta «Una vita al servizio del popolo» si snoda la straordinaria avventura politica e umana del personaggio, con pagine che coinvolgono e commuovono. -È un susseguirsi di dure fatiche e di azioni coraggiose, tra scioperi, denunce e arresti. Un’altalena drammatica tra sconfitte ed entusiasmanti vittorie. Dignità e orgoglio. Di Vittorio, da ragazzo bracciante lui stesso, raccontava sovente: «...insistevo perché i braccianti imparassero a non togliersi la ‘coppola’ per salutare gli agrari». Così il libro ci propone la lettura di un lungo tratto della nostra storia, di personaggi ed eventi che non vanno dimenticati, ma, al contrario, proposti e fatti conoscere alle nuove generazioni.
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I lavoratori precari sono in continua crescita nel nostro paese. Alcuni di loro, come i lavoratori agricoli e gli stagionali degli altri settori produttivi con almeno 78 giornate di occupazione all’anno, godono di un articolato sistema di tutele contro la disoccupazione nonché per la malattia, la maternità e gli infortuni. Gli altri, invece, come i co.co.co. o i lavoratori somministrati, intermittenti, a coppia ecc., hanno per gli stessi eventi una tutela molto più debole o del tutto inesistente. Sia gli uni che gli altri, tuttavia, difficilmente godranno in futuro di un trattamento pensionistico superiore all’assegno sociale riconosciuto a tutti i cittadini poveri. All’interno di questo scenario, il libro analizza, con riguardo sia alla previdenza agricola che a quella dei cosiddetti 78isti, l’evoluzione della tutela nell’ultimo decennio e le ipotesi di riforma sul tappeto; esamina se e con quali limiti i lavoratori occupati con le nuove tipologie contrattuali disciplinate dal decreto legislativo 276/2003 possano accedere alle tutele previste per i lavoratori con occupazione standard; si interroga su quale welfare riconoscere ai lavoratori precari, optando per una soluzione non «compassionevole» ma che premi e incentivi il lavoro.
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Il lavoro in risaia, durante la prima metà del secolo scorso, ha coinvolto migliaia di donne. La scelta di rapportarsi storiograficamente a quell’esperienza attraverso un campione di testimoni nasce non tanto dall’esigenza di ricostruire la storia del lavoro in risaia, quanto dalla consapevolezza che il recupero della memoria soggettiva del lavoro può contribuire alla salvaguardia di una cultura e di una sensibilità civile oggi a rischio di fronte ai mutamenti epocali presenti anche nel mondo lavorativo. Le testimonianze sono state organizzate nel testo quasi a voler creare un racconto corale, come corale era il canto che dalle risaie si levava alto sulla fatica delle donne ricurve sull’acqua. Un racconto corale che ci ripropone quella trasmissione di esperienze che legava come filo invisibile la vita delle donne più giovani alle numerose madri simboliche da cui ricevevano l’esperienza, il coraggio e la forza affettiva per andare avanti. Filo che permetteva, infine, di sopportare le nostalgie di lontananze pesanti attraverso una fitta rete di solidarietà femminili antiche.
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A partire dagli anni cinquanta, e di fatto fino ai nostri giorni, si è affermata in Calabria una visione distorta della politica intesa come leva decisiva, se non unica, del superamento dei gravi problemi della regione. Gaetano Lamanna, che vi è stato dirigente del PCI e della CGIL, ripercorre alcuni momenti significativi della storia recente di un territorio che ha vissuto mutamenti molteplici, e racconta le tappe che hanno segnato l’instaurazione di un sistema politico e di potere tanto forte quanto di basso profilo civile e morale. Se la Calabria, ancora oggi, è in testa nei primati negativi e ultima nelle graduatorie positive, la ragione di fondo va cercata nei limiti di un ceto politico che ha assunto direttamente la rappresentanza degli interessi, costruendo una fitta rete di controllo finalizzata ad elargire favori e a raccogliere voti. I calabresi, a questo punto, per imboccare una strada diversa, dovrebbero liberarsi da ogni forma di tutela e di «dipendenza», ridare alla politica dignità e, insieme, un ruolo meno invasivo. È necessario suscitare una battaglia delle idee, credere nei giovani, promuovere cultura e innovazione in tutti i settori. Il presupposto di tutto ciò è però un «salto», una discontinuità vera, non solo proclamata.
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...Sarebbe tuttavia un grave errore se noi, individuando e denunciando l’azione illegale e ricattatoria del grande padronato sottovalutassimo la gravità del colpo inferto alla FIOM e alla CGIL nelle recenti elezioni della FIAT; se noi, cioè, tentassimo di scagionare ogni nostra responsabilità nella sconfitta. Ciò non sarebbe degno di una grande organizzazione come la CGIL la quale affonda le sue radici in tutta la gloriosa tradizione del movimento sindacale italiano, ne rappresenta la continuità storica ed ha tutto l’avvenire davanti a sé... ...Una nostra responsabilità, pertanto, vi è certamente nella sconfitta subita alla FIAT. Il compito nostro è quello di scoprire, assieme a tutti i lavoratori della FIAT, quali sono stati i nostri errori, le nostre lacune, le nostre debolezze... Alla FIAT, dunque, hanno vinto momentaneamente i padroni, ha vinto la paura della fame... Nessuno si illuda che l’insuccesso del 29 marzo abbia inflitto un colpo decisivo alla CGIL. La più grande organizzazione, libera e unitaria, dei lavoratori italiani si è temprata e sviluppata nelle alterne vicende della lotta per l’emancipazione del lavoro. Essa è stata scalfita da vari insuccessi ma non è mai stata vinta... (Da «La "vittoria democratica" della FIAT», editoriale di Giuseppe Di Vittorio sul n. 15, del 10 aprile 1955, di «Lavoro», settimanale della CGIL).
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La memoria storica del sindacato intesa come patrimonio documentale disponibile nelle sue varie forme: da quella scritta a quella orale, dai documenti archivistici alle fonti giornalistiche, dagli archivi pubblici a quelli privati. È questo il fulcro del presente volume, che vuol essere un contributo di riflessione a più voci sulla tematica delle fonti per l’identità storica del movimento sindacale e popolare in Abruzzo. Questa tematica, in particolare riguardo agli archivi sindacali, era molto viva a livello nazionale quando dieci anni fa si scelse di dedicarvi un convegno di studi nella ricorrenza del novantesimo della fondazione della Camera del Lavoro dell’Aquila, di cui questo volume raccoglie gli atti. I contributi presenti, pur se è passato del tempo, non sembrano tuttavia aver perso d’attualità, stante anche la fervida stagione di studi storici nella ricorrenza centenaria della fondazione della CGIL e delle varie strutture collegate. Ma, al di là del momento, si intende offrire uno strumento di lavoro valido per trasmettere alle future generazioni di sindacalisti e di studiosi la conoscenza di un patrimonio documentale frutto della concreta azione sindacale per la dignità del lavoro e lo sviluppo della società abruzzese e italiana.
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Il volume raccoglie una serie di interventi svolti da personalità del mondo giuridico, sindacale e politico sui temi cruciali e le prospettive di riforma del processo del lavoro e previdenziale. La riforma del processo del lavoro, già articolata nella precedente legislatura da una Commissione ministeriale di studio, è stata ulteriormente messa a punto in quella attuale dalla ricostituita Commissione che, coordinata da Raffaele Foglia, ha terminato i suoi lavori nel maggio del 2007 predisponendo un progetto di legge, che il lettore troverà in questo volume. Il processo del lavoro italiano, pur presentando tratti caratteristici positivi e per più versi eccellenti nel panorama internazionale, è però uno strumento indifferenziato, agito per la soluzione di ogni controversia di lavoro a prescindere dalla sua rilevanza individuale e sociale. L’iter procedimentale è oggi il medesimo sia per una importante - e, per il lavoratore, vitale - controversia in tema di licenziamento o impugnazione di contratto di lavoro a termine, sia per una semplice rivendicazione retributiva o di qualifica. Di conseguenza, più o meno uguali sono anche i tempi del processo, negli ultimi anni spaventosamente allungatisi. Con la proposta di riforma discussa in questo volume, oltre ad importanti novità in tema di conciliazione e di processo previdenziale, si prevede che controversie più importanti (licenziamenti, trasferimenti, impugnazioni di rapporti di lavoro precari) possano invece venire instradate su corsie processuali preferenziali. Contributi di: Alleva, Andreoni, Assennato, Baratta, F. Coccia, Costantino, Curzio, Epifani, Fabbri, Fezzi, Foccillo, Foglia, Ianniruberto, Mastella, S. Mattone, Musella, Naccari, Nerozzi, Proto Pisani, Raffone, Rossi, Sirianni, Smuraglia, Todaro, Treu, Vietti.