• Neutralità o intervento? Lo scoppio della guerra europea, nell’estate del 1914, aprì nell’opinione pubblica italiana un aspro dibattito. Lo stesso Partito socialista, formalmente trincerato dietro la parola d’ordine della «neutralità assoluta», era in verità diviso, al suo interno, tra spinte divergenti e non facilmente conciliabili, di cui il caso Mussolini fu solo la punta dell’iceberg. Il tema ha appassionato gli studiosi, sconfinando spesso nella polemica politica, tra gli anni cinquanta e settanta, per poi essere progressivamente abbandonato: l’attuale centenario della Grande guerra sembra dunque l’occasione per tornare a parlarne, magari da prospettive storiografiche e generazionali, per quanto possibile, nuove. La prima parte del volume affronta la questione nei suoi termini generali, abbozzando anche un panorama di ciò che accadde nelle diverse parti del paese (quadro ancora in gran parte da delineare, ma comunque assai più ricco, complesso e contraddittorio di quanto generalmente si sia portati a credere). La seconda parte approfondisce invece un caso specifico, quello del socialismo veneto: di una regione, cioè, posta al confine tra Italia e Impero austro-ungarico, dove la guerra materialmente si combatté. E forse proprio per questo il travaglio del movimento socialista, lacerato dall’alternativa tra principi internazionalisti e sentimenti patriottici, appare qui particolarmente evidente.
  • Il volume ospita relazioni e interventi del convegno che ha preso spunto dalla recente presentazione, da parte della Cgil, della proposta di legge di iniziativa popolare, la Carta dei diritti universali del lavoro, nuovo statuto di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori – il cui Titolo II è dedicato, appunto, all’attuazione degli articoli 39 e 46 della Costituzione – e dalla contemporanea emersione di altre due proposte di legge in materia, provenienti rispettivamente da un gruppo di studiosi giuslavoristi che si è dato il nome di «Freccia rossa» e da un altro di scuola napoletana. In merito alla riforma del sistema di contrattazione l’intervento legale dovrebbe fronteggiare gli accordi interconfederali del 2011 e del 2013, poi consolidati nel Testo unico del 2014, che, sia pure con difficoltà innegabili, le grandi confederazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro sono riuscite a costruire dimostrando una forte motivazione verso un sistema contrattuale ordinato e controllato. Per quanto riguarda invece la partecipazione dei lavoratori, una legge che ne consentisse l’avvio rappresenterebbe una vera e propria «rivoluzione culturale» rispetto alla cosiddetta cultura conflittuale che ha caratterizzato l’esperienza sindacale del nostro paese dal 1948 ad oggi. Il volume riporta altresì gli interventi alla Tavola rotonda che, nell’ambito del convegno, si è tenuta con la partecipazione delle forze sociali, nella consapevolezza di quanto sia importante che le riforme legislative in materia sindacale siano comunque aderenti alle aspettative delle organizzazioni di rappresentanza.
  • Il sistema pensionistico è uno dei punti su cui si valuta la civiltà di un Paese. Cesare Damiano e Marialuisa Gnecchi innanzitutto ripercorrono la storia delle riforme del sistema pensionistico, dal 1992 al 2011. Ma disegnano uno scenario più articolato che comprende il complesso rapporto tra il legislatore e parti sostanziose della tecnostruttura dello Stato, come l’Inps e la Ragioneria Generale dello Stato, nonché il peso che queste hanno nella determinazione e nell’attuazione delle decisioni politiche. Al centro del volume c’è il tema della flessibilità in uscita dal lavoro verso la pensione, considerata come il principale strumento per correggere le storture derivanti da interventi quali la manovra Monti-Fornero del 2011. Gli autori argomentano questa tesi e ripercorrono la battaglia politica condotta, da un lato, per varare successivi provvedimenti di salvaguardia a favore dei lavoratori esodati e, dall’altro, per introdurre elementi di flessibilità nel nostro sistema previdenziale. Ciò attraverso tappe come la proposta di legge 857, presentata nel 2013, e la raccolta di oltre cinquantamila firme in una petizione a sostegno della stessa. Il tutto si inserisce in un disegno politico più ampio che, mentre vede con favore la riapertura di tavoli di confronto fra Governo e sindacati, si propone di dotare il Partito Democratico di una vera e propria Agenda sociale.
  • Quello del capitale sociale è un concetto complesso che vede un forte investimento in risorse finanziarie e umane di diverse istituzioni nazionali e internazionali per il suo rapporto con lo sviluppo economico. Anche nel nostro Paese sono presenti numerosi strumenti di promozione dello sviluppolocale, che hanno assunto il principio secondo cui sarebbe possibile produrre forme di valorizzazione intenzionale del capitale sociale attraverso dispositivi «artificiali» (tavoli negoziali, partenariati, accordi, Patti territoriali, Pit, Gal, Gac). L’idea di fondo è quella di stimolare l’organizzazione degli operatori economici e delle comunità locali attraverso la mobilitazione sociale e la concertazione tra attori, nella speranza che, una volta compresi i vantaggi del «fare insieme», la logica collaborativa venga reiterata e progressivamente interiorizzata, accrescendo così il livello di capitale sociale utile allo sviluppo. Ma il capitale sociale è sempre in grado di stimolare percorsi virtuosi di sviluppo locale? Il volume in primo luogo presenta con un taglio critico e comparativo alcuni dei principali approcci al capitale sociale presenti in letteratura e mira ad indicarne le relazioni con gli studi di sviluppo locale. Il testo prosegue poi nella descrizione del proficuo utilizzo della social network analysis per l’analisi del capitale sociale all’interno degli studi di sviluppo locale: descrive alcuni dei più importanti approcci di network chiarendo il loro utilizzo e alcuni dei risultati a cui si può tendere. Il fine ultimo del volume è quello di provare a dipanare le dinamiche più intime del modus operandi del capitale sociale e offrire maggiore chiarezza teorico-metodologica su un concetto indubbiamente complesso.
  • La crisi più lunga dal dopoguerra ha cambiato l’economia italiana, il lavoro e le re lazioni tra sindacati e imprese. L’innovazione tecnologica in corso può essere una opportunità per il lavoro e le competenze, specie dei giovani, ma anche uno stru mento di discriminazione che produce nuove disuguaglianze sociali, economiche, territoriali e maggiore disoccupazione. La fine dell’intermediazione tra politica e società, i social media che sostituiscono il confronto diretto con le persone, il lea derismo che non ha bisogno di radicamento sul territorio hanno tentato di relegare le organizzazioni sociali e il lavoro ai margini del dibattito. Ma il lavoro è tornato di recente al centro della discussione: la pretesa supremazia della politica non ha funzionato. In questo libro-intervista Susanna Camusso risponde ai quesiti di Massimo Mascini e descrive con orgoglio un sindacato che vuole rinnovare la propria funzione senza rinunciare a essere una organizzazione generale, inclusiva delle diversità del lavoro, plurima e democratica. Ne sono esempi la battaglia per nuovi diritti e il Piano del lavoro, rivolto soprattutto ai giovani. Un bilancio di quello che è stato fatto negli ultimi anni e i sentieri possibili di una nuova democrazia partecipata.
  • Andrea Gianfagna ha trascorso, con incarichi diversi, più di settant’anni in CGIL. In questo libro intervista ricostruisce la sua storia e quella dell’organizzazione nella quale ha militato attraverso un’analisi accurata, attenta e mai banale dei grandi processi e della vita di questo paese. È un libro in cui la storia dell’uomo, del dirigente Gianfagna, si intreccia con la storia della Confederazione generale italiana del lavoro in tutti i suoi momenti più significativi. Il codice genetico di Gianfagna è iscritto nella CGIL di Giuseppe Di Vittorio da cui desume le tre linee di pensiero che caratterizzeranno anche la storia della CGIL nell’Italia democratica: quella della responsabilità nazionale e istituzionale, che trova nella lunga segreteria di Luciano Lama, preparata dal prezioso lavoro di Agostino Novella, la sua più completa declinazione; quella dei diritti e del programma sulla cui base Trentin riuscirà a traghettare la CGIL fuori dalle macerie del secolo breve; e quella dell’ancoraggio costante alla condizione materiale dei lavoratori attraverso il salario, il contratto e la preparazione delle vertenze. «Un sindacalista vero deve sapere cos’è un contratto, una busta paga e come si organizzano le vertenze». Nella lunga e appassionata militanza di Andrea Gianfagna si ritrovano insieme tutti questi elementi propri della CGIL di Di Vittorio.
  • La disuguaglianza è il peggiore nemico del tempo presente. Essa può assumere molte forme: c’è quella economica, quella sociale, ma c’è anche quella di «riconoscimento». L’Occidente è attraversato da queste faglie di disuguaglianza, che hanno una natura fortemente territoriale: faglie fra aree rurali e urbane, fra periferie e centri, fra città in decadenza e fiorenti. Se queste sofferenze non trovano la strada dell’avanzamento sociale, si trasformano in rabbia verso élites e istituzioni e in deriva autoritaria. L’Italia non fa eccezione. C’è una parte importante del Paese che avverte l’abbandono. Sta nelle periferie. E nell’Italia delle due «erre», rurale e rugosa, l’Italia delle aree interne. Qui si combatte una sfida tra innovatori e rentiers, ovvero quelle parti di classe dirigente locale più preoccupate di difendere rendite di posizione che di invertire il declino. Quando sono questi ultimi a vincere, per i giovani e gli innovatori le possibilità sono due: una è la fuga, l’altra è l’insubordinazione ai rituali del passato. Fabrizio Barca è un sostenitore convinto di questa seconda ipotesi. Perché per costruire una nuova stagione di avanzamento serve uno shock, affinché le aree interne possano diventare motore di nuovo sviluppo per l’Italia. Il cambiamento va però innescato attraverso un processo «rivolto ai luoghi», che parta cioè dall’azione delle comunità e dei cittadini organizzati, che, nel vuoto lasciato dai partiti, diventano i protagonisti. È l’insegnamento della travagliata esperienza aquilana, dopo il sisma del 2009. Ed è un metodo che, in forme diverse, vale anche per le grandi città, persino per Roma. Questo piccolo viaggio fatto di domande e risposte, tra aree interne, zone terremotate e degrado urbano, vuole provare ad offrire spunti per la costruzione di un progetto, certamente ambizioso, ma possibile. In cui una parte del paese è già impegnata
  • Lo scorso autunno provavo a spiegare alle amiche e ami ci italiani cosa stesse succedendo in Catalogna dicendo: “Questa è una storia che finisce male, ma è una storia vera”. Effettivamente “la rivoluzione del sorriso” s’infrange sulle violenze della polizia spagnola il 1° ottobre, sulla proclamazione unilaterale di una Repubblica durata poche ore e la repressione dello Stato. Ma che la storia non si fosse conclusa allora lo dimostra il risultato delle elezioni del 21 dicembre, in cui il blocco di forze repubblicane riesce a confermare la maggioranza assoluta di seggi parlamentari. E oggi, con la Generalitat sotto il giogo dell’articolo 155 della Costituzione, i prigionieri politici e quelli in esilio accusati di reati che non hanno commesso, la questione catalana si ripropone nella sua interezza e il movimento non rifluisce. Perché sono oltre due milioni a volere una relazione diversa della Catalogna con il resto della Spagna. E questa è la storia vera». Così l’autrice introduce la narrazione dell’autunno catalano: eventi che mozzano il fiato per velocità e spessore ed uno sguardo sulla percezione soggettiva dei protagonisti di un movimento popolare, pacifico e di massa che afferma la sua sovranità nella celebrazione di un referendum. Ma il libro, nato per raccontare «la rivoluzione del sorriso», finisce col diventare anche altro, perché in Spagna succedono cose che suscitano allarme. Non è solo la maxi-causa contro l’indipendentismo con l’imputazione di reati per una violenza che non c’è mai stata, sono la restrizione della libertà d’espressione e l’uso abusivo della legislazione antiterrorista che rendono la Spagna distante dagli standard democratici europei del XXI secolo. Perché la democrazia è quanto oggi è in gioco nella vicenda catalana ed è perciò qualcosa che riguarda l’Europa.
  • L’altipiano

    13.00 
    Scritto in esilio tra il ’36 e il ’37, apparso in Francia nel ’38, in Italia da Einaudi nel ’45, Un anno sull’Altipiano è universalmente considerato uno dei capolavori di tutta la letteratura europea sulla Grande Guerra. A ottant’anni dalla pubblicazione storici, scrittori, critici letterari, uomini di spettacolo riflettono su un testo esemplare scritto da chi la guerra l’ha combattuta in prima linea e per tutti i quattro anni della sua durata. Uno stile asciutto ed essenziale, l’uso corrosivo dell’ironia e del comico dietro i quali si nasconde la tragedia: Lussu mette a nudo la logica assurda della guerra, la ferocia e la stupidità degli Alti Comandi, il disprezzo per i soldati considerati pedine da destinare al massacro. Un libro che ha ispirato maestri del cinema come Stanley Kubrick, Mario Monicelli, Francesco Rosi. Pagine che continuano a parlare agli uomini del Duemila in un mondo sempre più insanguinato dalla disumanità della guerra.
  • A partire dal quadro analitico proposto da Tiziano Distefano e dai successivi saggi di Sandra Burchi e di Caterina Satta che mettono a fuoco il tema del lavoro di ‘badante’, il testo propone una riflessione su questa particolare attività dei nostri tempi. Non solo numeri e flussi migratori, ma anche storie di donne che si intrecciano con lo sguardo dei loro datori di lavoro e della rete di solidarietà che esiste nella città di Livorno e che, sostituendo il ruolo dello Stato, cerca di fare incontrare la domanda con l’offerta. Questo volume è il primo passo verso un’analisi più approfondita di questa tematica, realizzato mediante il contributo dello SPI CGIL livornese e grazie all’attenzione e alla cura degli autori. Saggi di Sandra Burchi, Tiziano Distefano, Caterina Satta Sandra Burchi lavora come ricercatrice e docente a contratto nel Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Ha sviluppato ricerche sul lavoro flessibile e precario e sulle strategie di work-life balance delle nuove professioniste. Tiziano Distefano è un ricercatore post-doc nel Dipartimento di Economia e Ma nagement dell’Università di Pisa. Attualmente sta lavorando a un progetto relativo allo sviluppo di un modello macro-economico che includa temi ambientali, sociali e politici. Caterina Satta, PhD in «Sociologia: processi comunicativi e interculturali», svolge attività di ricerca e formazione nell’ambito della so ciologia dell’infanzia, della famiglia e della vita quotidiana nel Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna.
  • La rivolta studentesca del ’68 è un’onda che si diffonde ovunque in Italia, e così le lotte operaie. Un gruppo di studenti vive quegli anni in una delle formazioni più antagoniste: Potere operaio. E partecipa in prima persona alle discussioni, agli scontri con la polizia, ai successi, alle divisioni e delusioni. Finché tutto precipita nell’epoca che segnerà la fine del movimento e l’affermarsi del riflusso. L’incontro con i Consigli di fabbrica e i delegati consente ad alcuni di loro di continuare ad avere un’esperienza politica collettiva in cui credere. La Cgil rinnovata solleciterà la loro collaborazione per intervenire sulle trasformazioni del lavoro di quegli anni fino a farne dei sindacalisti a tempo pieno. Molti dirigenti del sindacato di oggi hanno attraversato un percorso simile a quello del protagonista del romanzo, Enrico Montorsi, e dei suoi amici. Dai banchi e dalle officine descrive i tanti lavori dell’Italia agricolo-industriale e poi quelli sindacali e politici degli anni settanta, arrivando fino al caso Moro e all’inizio della ristrutturazione industriale.
  • Sono in atto nel mondo grandi mutamenti legati alle innovazioni nelle tecnologie digitali. Essi sono governati essenzialmente da una decina di grandi gruppi globali, statunitensi e cinesi, che perseguono i loro stretti interessi a spese dei cittadini e delle comunità, possedendo un potere di mercato immenso, mentre l’Europa sembra tagliata fuori da questi sviluppi. Si pongono in proposito enormi problemi in vari campi, con la conseguente necessità di portare avanti processi di controllo del settore da parte dei pubblici poteri, in particolare, oltre che sul fronte della politica del lavoro, questione particolarmente toccata da questi sviluppi, sul piano dell’antitrust, della protezione dei dati dei cittadini (tema messo in rilievo di recente dallo scandalo Facebook), delle questioni fiscali, della diffusione delle notizie sensibili, della dimensione etica delle scelte, dell’influenza esercitata da tali grup pi anche sui comportamenti e le decisioni politiche in vari paesi.