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Il titolo si riferisce a un dato: se le dita delle bambine dei Dugum Dani della Nuova Guinea si possono tagliare come donazione nelle cerimonie funebri – tranne il pollice e uno o due dita che basteranno loro per svolgere i lavori destinati alle donne – possiamo metaforicamente dire che tutte le donne hanno le dita tagliate? Sì, perché esiste ancora e largamente un gap tecnologico tra uomini e donne, un gap che appare chiaramente fin dalle società di caccia e raccolta, e che con l’evoluzione tecnica si è allargato a forbice e continua in varie forme nelle società industrializzate. Bisogna allora ricercare i fattori oggettivi, le costanti della divisione sessuale del lavoro e del rapporto di classe tra donne e uomini. Un rapporto di classe costitutivo nel cui ambito si pone lo scambio sessuo-economico che caratterizza l’insieme delle relazio ni sessuali tra uomini e donne. La transazione economica infatti non riguarda la sola prostituzione: la prostituzione non è un fenomeno separato, ma vi è un continuum di scambio sessuo-economico che va dai rapporti matrimoniali fino alle forme più comuni di prostituzione. E questo non solo nelle società africane o extraeuropee, ma anche in Europa e Nord America. Le attuali trasformazioni sociali nel rapporto tra i sessi rimettono in causa la dominazione maschile o piuttosto si tratta di una nuova configurazione di questa dominazione? Chi porta il peso di questa trasformazione e chi ne trae profitto? Paola Tabet ne discute nell’intervista (fattale da Mathieu Trachman) che conclude il libro: quale sarà la possibilità di una sessualità egualitaria, fuori cioè da ogni condizione di oppressione, senza costrizioni, una sessualità libera di esprimersi, di sperimentare, non legata alla divisione tra i sessi e alle relazioni di potere? Una possibilità difficile e complessa finché permane in qualche modo un dominio maschile.
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Nel nuovo dialogo e confronto che si sono aperti tra donne e uomini permangono snodi cruciali solo sfiorati, e ciò che è iniziato a cambiare rischia di trasformarsi in nuovo stereotipo se non se ne riprende in mano la complessità, se non ci si assume il rischio di rimettere ancora in discussione quello che appare già conquistato. Vi sono quindi ambiti, aree di attenzione su cui appare necessario non solo continuare il lavoro di confronto e ricerca, ma riprenderlo anche con lo sguardo più critico, soprattutto là dove alcuni progressi, alcune sensibilità si sono mosse e una sottolineatura appagante di tutto questo rischia di fermare i processi di cambiamento. Ma vi sono anche situazioni così radicate nell’immaginario sociale di genere che non sono state per nulla toccate dal cambiamento degli ultimi decenni e non solo perpetuano recinti di segregazione, ma legittimano – se non sottoposte a critica – le culture che li hanno creati. L’esempio che viene più naturale ricordare è l’assenza maschile nell’educazione, ma anche le categorie a cui si ricorre nel contrasto della violenza o le forme con cui si reagisce alla rappresentazione del corpo femminile e del desiderio maschile schiacciati nella falsa alternativa tra rischio del «moralismo» e fuga nell’indifferenza. Nell’uno e nell’altro caso il volume si propone di identificare alcune tematiche che appaiono particolarmente significative o paradigmatiche e avviare su ciascuna una riflessione problematica, affidandola ogni volta a una donna o a un uomo, o ad ambedue, perché ne sappiano rivelare, anche esasperandole, le criticità e crucialità, al di fuori di ogni retorica accreditata anche dai più recenti mutamenti.
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Artigiano ebanista, deputato, operatore sindacale, fondatore e segretario per 12 anni della CGdL, Rinaldo Rigola fu un personaggio complesso e controverso che, nonostante la precoce cecità, svolse un ruolo di eccezionale rilievo nell’organizzazione e nella politica del movimento proletario. Questo libro ne ripercorre la lunga vita, dalle giovanili esperienze a Biella al vertice della Confederazione, dal Biennio Rosso allo spinoso tema dei rapporti col fascismo. Ne emerge un quadro frastagliato, di un uomo complesso che compì scelte difficili, come difficile fu l’epoca in cui visse.
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Il volume nasce come omaggio a Federico Caffè a vent’anni dalla sua misteriosa scomparsa il 15 aprile del 1987. Grande economista e maestro di intere generazioni, impegnato nella Resistenza, cittadino esemplare negli importanti compiti svolti in Banca d’Italia, come capo gabinetto del ministro Meuccio Ruini nei governi Bonomi e Parri, e nell’università, Caffè è stato anche un vero amico, spesso critico severo, ma sempre costruttivo, delle forze progressiste e del movimento sindacale. Le sue proposte erano rivolte alla soluzione delle pressanti esigenze degli uomini comuni, in particolare di quelli più svantaggiati. Per alcuni anni si impegnò direttamente nella formazione sindacale con lezioni di cui è ancora vivo il ricordo. Il volume raccoglie un’ampia scelta di scritti di Federico Caffè su varie tematiche, dall’epistemologia alla storia del pensiero economico, alla finanza, alla cooperazione internazionale, all’economia italiana con particolare riferimento al lavoro e all’occupazione. Il testo è arricchito da contributi e testimonianze di economisti e amici, da documenti, manoscritti, lettere e fotografie anche inediti. Sono allegati due Dvd sulla vita e sul pensiero di Caffè, con interventi di personalità delle istituzioni e dell’economia, di familiari e di quanti hanno potuto apprezzarne le doti intellettuali e umane. NEL VOLUME A CURA DI GIUSEPPE AMARI E NICOLETTA ROCCHI: - Saggi, articoli e scritti di Federico Caffè su alcune delle principali tematiche da lui approfondite come quelle epistemologiche, della storia del pensiero economico, della finanza, della cooperazione internazionale, dell’economia italiana, del lavoro e del sindacato, del welfare. - Interventi e testimonianze di: N. Acocella, G. Amari, B. Amoroso, L. Angeletti, F. Archibugi, M. Benetti, A. Bixio, R. Bonanni, G. Becattini, S. Cardarelli, C.A. Ciampi, C. D’Apice, G. Epifani, B. Franzese, M. Franzini, A. Galloni, G. Gilardi, C. Giustiniani, A. Graziani, L. Guardati, G. La Barbera, R. Lama, A. Lettieri, E. Loche, S. Lombardini, P. Lupi, M.P. Montemurro, G. Morelli, R. Orioli, B. Picker, F. Pierelli, P. Pombeni, G.M. Rey, N. Rocchi, M. Soldini, S. Steve, N. Tarantini, R. Tesi (Galapagos), M. Tiberi. - Un album fotografico e documentario con riprodotti numerosi documenti, manoscritti, lettere e foto dell’economista e di luoghi e persone a lui riconducibili. NEL PRIMO DVD IL DOCUMENTARIO "QUEL SILENZIO CHE ANCORA CI PARLA" DI MARCO MAIELLO, CON: - la lezione conclusiva di Federico Caffè ad un corso di Politica economica tenuto agli inizi degli anni Ottanta nella Facoltà di Economia e Commercio dell’Università La Sapienza di Roma; un dibattito radiofonico con Ezio Tarantelli; interventi e interviste televisive di Federico Caffè. NEL SECONDO DVD UNA RACCOLTA DI TESTIMONIANZE A CURA DI GIUSEPPE AMARI CON INTERVISTE A: - F. Bertinotti, N. Acocella, B. Amoroso, A. Antonelli, P.L. Ciocca, G. D’Angelo, C. D’Apice, L. Del Proposto, P. Firmani, M. Franzini, L. Guardati, R. Herlitzka, G. Lauri, P. Laurito, P. Leon, E. Leone, G. Leone, G. Palmerio, B. Picker, S. Profico, E. Rea, G.M. Rey, F. Rosi, G. Ruffolo, M. Sarcinelli, N. Tarantini, M. Tiberi, G. Torlontano.
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«Roma era felice, quel 10 giugno 1940, com’erano felici Milano, Torino, Cosenza, Bari, Palermo, Bologna, Firenze. La guerra sarebbe durata poche settimane e la vittoria era sicura. Parigi stava per cadere. Presto sarebbe caduta anche Londra. Milioni di donne preparavano la cena a milioni di uomini, mentre alle otto in punto, annunciate dall’uccellino della radio, nelle case italiane tornavano a farsi sentire le parole di Mussolini: "L’ora della decisione suprema è scoccata..."». Cominciò così, in una serata estiva, l’avventura di guerra dell’Italia fascista. Durò cinque anni, durante i quali centinaia di migliaia di donne combatterono la più lunga battaglia della loro vita: contro la fame, contro le bombe, contro una guerra la cui fine si allontanava di giorno in giorno, sempre di più. Con la forza evocativa di un maestro neorealista, Miriam Mafai ricostruisce la vita quotidiana di questo esercito femminile. Madri, mogli, ragazze, operaie, mondine, borghesi e principesse, ebree e gentili, fasciste e partigiane, «pescecane» e borsare nere. Ne nasce un’epopea che ha come scenario le città bombardate, le campagne percorse dalle fanterie di tutti gli eserciti, Roma, città aperta. È questa la prima storia delle donne vissute negli anni del «pane nero», anni che le videro balzare al ruolo di capofamiglia e di uniche vincitrici della guerra perduta.
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La sociologia ha fin dai suoi esordi ciclicamente individuato espressioni suggestive per descrivere il prodursi del mutamento sociale. In quest’ottica la descrizione del quadro attuale di riferimento deve fare necessariamente i conti con il precisarsi del cosiddetto paradigma neoliberale. Più specificamente, il neoliberismo definisce un modello di governo sociale legato da un lato alla destrutturazione del tradizionale sistema di regolazione sociale dell’economia, dall’altro alla diffusione della competitività come criterio fondamentale di giudizio sul valore della soggettività. Tali processi, uniti alla crescente individualizzazione delle carriere di vita, delineano i contorni di un nuovo tipo di configurazione economica e sociale che possiamo definire con il termine di società della prestazione. Quest’ultima non solo manifesta la centralità crescente della retorica manageriale d’impresa nella società contemporanea, ma prefigura la nascita di una nuova antropologia e di un nuovo discorso sociale basato sulla centralità della performance come imperativo sociale.
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Editoriale
- Aldo Tortorella, Impero e imperialismo
- Alberto Leiss, Sonnambuli della politica tra Italia ed Europa
- Mattia Gambilonghi, Un’Europa sociale o ordoliberale? Le antinomie di Jacques Delors
- Salvo Leonardi, Lavoro e sindacati nell’integrazione europea: conflitti e convergenze
- Agustín José Menéndez, La “terribile” costituzione materiale dell’Unione europea
- Wasim Dahmash, I crimini di Israele oggi e nel tempo. Ma l’unico futuro è la convivenza
- Cristina Carelli, Dopo Giulia, parola alle giovani
- Alessio Miceli, Dopo Giulia e Filippo, parole nuove per i giovani maschi
- Stefano Petrucciani, Un dialogo tra sordi? La discussione tra filosofi marxisti del 1962
- Michele Prospero, Galvano Della Volpe e i dellavolpiani
- Carmela Covato, Il Marx di Mario Alighiero Manacorda
- Nadia Garbellini e Gianmarco Oro, Oltre la critica dell’economia politica: l’insegnamento di Luigi Pasinetti
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La cura è un atto di potere, ma è anche una relazione in cui coesistono l’amore e il disgusto, l’odio e la tenerezza, la fatica e l’orgoglio, in cui sentimenti nobili si avvicendano ad altri spaventosi. Per questo la cura è un oggetto di studio così scivoloso, soggetto spesso a interpretazioni sentimentalistiche o tacciato di essenzialismo, perché il care, come dicono le esperte francesi citate in questo testo, ha conseguenze intime e politiche, sociali e domestiche. Di conseguenza, l’approccio di studio deve essere pluridisciplinare: solo un’analisi che sappia tenere insieme paradigmi diversi può riuscire nel tentativo di fornire una cornice teorica ampia al bisogno universale di cura e garantire per le care workers un posizionamento politico e simbolico adeguato. Questo testo muove dai care studies e approda alla critica letteraria, dimostrando l’importanza di integrare le problematiche della cura negli studi letterari e rimettendo in causa, in modo critico, la distinzione tra finzione e realtà: nella letteratura infatti si trovano spesso le risposte agli interrogativi sociali più complessi. L’esempio narrativo in questione è Slow Man di J.M. Coetzee, perché in quest’opera dello scrittore sudafricano premio Nobel emergono l’aspetto perturbante della cura, le dinamiche di potere da cui è investita, ma anche le discriminazioni di genere di cui sono vittime care givers… e scrittrici.
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L’obiettivo dell’inchiesta è stato quello di indagare le condizioni delle lavoratrici e dei lavoratori, per comprenderne i bisogni e le aspettative per migliorare il mondo del lavoro e l’azione del sindacato. Il questionario ha raggiunto un campione di oltre trentamila rispondenti ed era rivolto a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori, in ogni settore, con qualsiasi professione e tipologia contrattuale. I risultati raccontano un mondo del lavoro caratterizzato da bisogni specifici, con una crescente eterogeneità e una molteplicità di percorsi individuali di sfruttamento e di emancipazione. D’altra parte, emergono le sfide comuni per la ricomposizione dell’azione collettiva, per affermare un nuovo paradigma di sviluppo fondato su salari più giusti, meno precarietà, più innovazione, attraverso la partecipazione e la rappresentanza sindacale. Il volume presenta un’analisi approfondita dei risultati e descrive le caratteristiche principali del lavoro nell’epoca contemporanea, con dei focus analitici per temi e settori produttivi. L’inchiesta è stata condotta dalla Fondazione Di Vittorio in collaborazione con tutte le strutture sindacali della Cgil, attraverso un ampio gruppo di ricerca interdisciplinare.
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A distanza di un decennio dal pionieristico volume Contro l’ergastolo (che inaugurava la collana delle pubblicazioni de La Società della Ragione) e all’indomani dell’ord. n. 97/2021 della Corte costituzionale, si impone una rinnovata riflessione critica su tutte le modalità di detenzione a vita. Lo fa il presente volume, guardando al «fine pena mai» da ogni latitudine: la tormentata storia parlamentare della sua mancata abrogazione; le sue progressive erosioni ad opera della giurisprudenza costituzionale e convenzionale; i costi esistenziali di una pena perpetua; la sua diffusione nel mondo; le possibili alternative sanzionatorie. Unitamente alla ricognizione delle sue reali dimensioni numeriche e della giurisprudenza in tema di liberazione condizionale, il volume offre così al dibattito pubblico elementi tali da sradicare la (falsa, ma diffusa) convinzione che in Italia, de jure o de facto, l’ergastolo non esista. In Appendice, scritti (di Papa Francesco, Aldo Moro, Salvatore Senese, Aldo Masullo) che, più e meglio degli altri, mostrano come la pena fino alla morte sia l’ambiguo luogotenente della pena di morte.