• CM N. 6/2023

    1,500.00 
    Editoriale
    • Aldo Tortorella, L’Europa in guerra 
    Osservatorio
    • Massimo Cavallini, Argentina: e dalla notte dei tempi giunse Javier Milei
    • Romeo Orlandi, Nuovo multilateralismo? Quattro eventi e un brutto pensiero 
    • Simona Fabiani, La guerra e il resto da eliminare contro la crisi climatica
    • Felice Adinolfi e Roberto Weber, Il grande malessere, o l’Europa dei trattori
      I cento anni dell’Unità
    • Alexander Höbel, Nascita di un giornale operaio
    • Letizia Paolozzi e Alberto Leiss, L’organo del “partito nuovo” e l’avvento dei giornali-partito
    • Pietro Spataro, Un quotidiano in crisi di identità e l’occasione mancata dei giornalisti
    • Vincenzo Vita, Da l’Unità ai social. Una rivoluzione senza rivoluzione 
    Laboratorio culturale
    • Lelio La Porta, Il “Gramsci di destra”, pericoloso ma senza fondamento 
    • Antonio Di Meo, La «rivoluzione passiva» nell’universo concettuale gramsciano
    • Sergio Cesaratto, La moderna teoria del sovrappiù e l’analisi delle economie precapitalistiche 
    Schede critiche
    • Antonio Di Meo, Rivoluzione ed egemonia in Gramsci
    • Mihaela Ciobanu, Marx, Dussel e la «periferia» del mondo 
  • Matteotti

    8.00 
    Quanto sanno realmente gli italiani di Giacomo Matteotti, assassinato il 10 giugno 1924 da una squadra fascista per aver denunciato in un discorso alla Camera le illegalità commesse dal regime di Mussolini? Non molto. A colmare questa grave lacuna, contribuendo a far nuova luce su una figura tanto celebrata quanto sostanzialmente sconosciuta, concorre – a un secolo dalla tragica scomparsa – Futura Editrice ripubblicando il bellissimo ritratto che Piero Gobetti decise di dedicargli all’indomani del suo omicidio. Dall’infanzia tormentata nel Polesine all’adesione al socialismo, il volume ricostruisce la traiettoria umana e politica di Matteotti. Assieme al ritratto di un «guardiano della rettitudine politica», emerge il profilo di un antifascista intransigente, avverso al regime «per una pregiudiziale di repugnanza morale», oltre che per una questione fondamentale «di incompatibilità etica e di antitesi istintiva».
  • Nel settembre 2002 Bruno Trentin riceve dall’Università di Venezia la laurea honoris causa in Economia. «Il tema di questo mio intervento – afferma in occasione del prestigioso conferimento – riguarda il rapporto fra lavoro e conoscenza. L’ho scelto perché mi sembra che in questo straordinario intreccio che può portare il lavoro a divenire sempre più conoscenza e quindi capacità di scelta e, quindi, creatività e libertà, sta la più grande sfida che si presenta al mondo all’inizio di questo secolo. La sfida che può portare a sconfiggere le vecchie e nuove disuguaglianze». Un tema, quello della società ed economia della conoscenza, che in Trentin ha origine con l’esperienza delle 150 ore e che ritorna fortemente nella sua elaborazione politica e culturale degli anni a seguire. Il volume ripercorre – attraverso documenti editi e inediti – le principali tappe della sua elaborazione intellettuale sul tema, dall’accordo del 19 aprile 1973 agli ultimi scritti di poco precedenti il tragico incidente del 2006, che causerà la sua morte nell’agosto dell’anno successivo.
  • L’obiettivo dell’inchiesta è stato quello di indagare le condizioni delle lavoratrici e dei lavoratori, per comprenderne i bisogni e le aspettative per migliorare il mondo del lavoro e l’azione del sindacato. Il questionario ha raggiunto un campione di oltre trentamila rispondenti ed era rivolto a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori, in ogni settore, con qualsiasi professione e tipologia contrattuale. I risultati raccontano un mondo del lavoro caratterizzato da bisogni specifici, con una crescente eterogeneità e una molteplicità di percorsi individuali di sfruttamento e di emancipazione. D’altra parte, emergono le sfide comuni per la ricomposizione dell’azione collettiva, per affermare un nuovo paradigma di sviluppo fondato su salari più giusti, meno precarietà, più innovazione, attraverso la partecipazione e la rappresentanza sindacale. Il volume presenta un’analisi approfondita dei risultati e descrive le caratteristiche principali del lavoro nell’epoca contemporanea, con dei focus analitici per temi e settori produttivi. L’inchiesta è stata condotta dalla Fondazione Di Vittorio in collaborazione con tutte le strutture sindacali della Cgil, attraverso un ampio gruppo di ricerca interdisciplinare.
  • Il 16 ottobre 1948, durante la «marcia della fame» che portò a Pistoia le famiglie degli Appennini impegnate in una dura lotta alla fabbrica Smi, la polizia aprì il fuoco sui dimostranti. A terra rimase, esanime, Ugo Schiano, operaio venticinquenne della fabbrica San Giorgio sceso in sciopero di solidarietà. Questo tragico evento segnò il termine della transizione nel secondo dopoguerra pistoiese, iniziata come nel resto d’Italia con grandi speranze di cambiamento e rinnovamento e conclusasi con la stabilizzazione del centrismo, che chiuse gli spazi alla conflittualità sociale, letta esclusivamente in chiave ideologica, finendo per negare gli elementi caratterizzanti della democrazia. Il libro ripercorre quegli anni, ricostruendo la conflittualità sociale nei vari ambiti, dalle fabbriche alle campagne alle lotte delle donne e dei disoccupati, indagando il comportamento degli attori locali nella loro dialettica con le dinamiche nazionali e internazionali, per cercare di capire come fu possibile passare da un’opera di faticosa mediazione e confronto allo scontro aperto e frontale. L’ultimo capitolo si sofferma sulla memoria di Ugo Schiano lungo la storia dell’Italia repubblicana, con una chiave di public history tesa a capire i cambiamenti continui dei rapporti tra passato e presente.
  • La cura è un atto di potere, ma è anche una relazione in cui coesistono l’amore e il disgusto, l’odio e la tenerezza, la fatica e l’orgoglio, in cui sentimenti nobili si avvicendano ad altri spaventosi. Per questo la cura è un oggetto di studio così scivoloso, soggetto spesso a interpretazioni sentimentalistiche o tacciato di essenzialismo, perché il care, come dicono le esperte francesi citate in questo testo, ha conseguenze intime e politiche, sociali e domestiche. Di conseguenza, l’approccio di studio deve essere pluridisciplinare: solo un’analisi che sappia tenere insieme paradigmi diversi può riuscire nel tentativo di fornire una cornice teorica ampia al bisogno universale di cura e garantire per le care workers un posizionamento politico e simbolico adeguato. Questo testo muove dai care studies e approda alla critica letteraria, dimostrando l’importanza di integrare le problematiche della cura negli studi letterari e rimettendo in causa, in modo critico, la distinzione tra finzione e realtà: nella letteratura infatti si trovano spesso le risposte agli interrogativi sociali più complessi. L’esempio narrativo in questione è Slow Man di J.M. Coetzee, perché in quest’opera dello scrittore sudafricano premio Nobel emergono l’aspetto perturbante della cura, le dinamiche di potere da cui è investita, ma anche le discriminazioni di genere di cui sono vittime care givers… e scrittrici.
  • Bruno Trentin e David Sassoli erano personalità diverse, con storie e radici culturali che non permettono omologazioni, tuttavia le loro leadership hanno fatto emergere convergenze significative. E innovative. Sulla centralità della persona nel lavoro, nel welfare, nel modello sociale, sul contrasto al divario nelle conoscenze, sul rafforzamento dell’Unione Europea come attore globale e come motore di uno sviluppo davvero sostenibile. Questi temi sono stati discussi e approfonditi in un seminario promosso dalla Fondazione Achille Grandi e dalla Fondazione Giuseppe Di Vittorio. Il volume raccoglie i testi rielaborati dagli autori e le conclusioni di Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, e di Emiliano Manfredonia, presidente nazionale delle Acli.
  • CM N. 1/2024

    15.00 
    Editoriale
    • Aldo Tortorella, Impero e imperialismo 
    Osservatorio Italia/Europa
    • Alberto Leiss, Sonnambuli della politica tra Italia ed Europa
    • Mattia Gambilonghi, Un’Europa sociale o ordoliberale? Le antinomie di Jacques Delors
    • Salvo Leonardi, Lavoro e sindacati nell’integrazione europea: conflitti e convergenze
    • Agustín José Menéndez, La “terribile” costituzione materiale dell’Unione europea 
    Israele/Palestina
    • Wasim Dahmash, I crimini di Israele oggi e nel tempo. Ma l’unico futuro è la convivenza 
    Dopo Giulia Cecchettin
    • Cristina Carelli, Dopo Giulia, parola alle giovani
    • Alessio Miceli, Dopo Giulia e Filippo, parole nuove per i giovani maschi 
    Laboratorio culturale. I Marx del Pci
    • Stefano Petrucciani, Un dialogo tra sordi? La discussione tra filosofi marxisti del 1962
    • Michele Prospero, Galvano Della Volpe e i dellavolpiani
    • Carmela Covato, Il Marx di Mario Alighiero Manacorda 
    Ritratti di Maestri
    • Nadia Garbellini e Gianmarco Oro, Oltre la critica dell’economia politica: l’insegnamento di Luigi Pasinetti
  • Il volume indaga, attraverso le fonti a stampa e documenti provenienti dai fondi della Camera del lavoro, della Prefettura e degli Archivi nazionali Cgil e Fiom, la crescita dell’industria metalmeccanica nel Parmense a partire dal 1945, la maturazione dell’organizzazione sindacale Fiom e lo sviluppo delle lotte operaie. Uno sguardo complesso, che punta a far emergere i ruoli delle diverse componenti aziendali e sindacali che hanno accompagnato la crescita di una realtà a lungo rimasta ai margini del processo industriale nazionale. Un «caso di studio», quindi, focalizzato su una delle «periferie» industriali del Paese, che narra la costituzione di un polo industriale robusto, sebbene contenuto, protagonista nella vita politica ed economica emiliana degli anni sessanta. Il racconto comprende i cicli di lotte che hanno attraversato i primi decenni del dopoguerra, il fallimento della più importante azienda metalmeccanica parmense (Salamini) nel 1969, il crescente protagonismo della Fiom Cgil nelle officine e nell’organizzazione sindacale parmense, fino al processo di unità sindacale che ha portato alla costituzione della Flm.
  • RPS N. 1/2024

    22.00 
    Politiche attive del lavoro e creazione diretta di nuova occupazione
    • Il lavoro tra «oscuramento teorico» e «invisibilità politica»
    • L’Europa di fronte ai radicali cambiamenti mondiali
    • Pnrr, un’occasione sprecata
  • Il contributo analizza la relazione che c’è tra politiche industriali di tipo verticale e selettivo, orientate cioè a favorire cambiamento strutturale e posizionamento dell’economia su una traiettoria di crescita superiore, e politiche del lavoro volte a promuovere la creazione di «buona occupazione». Investigando la recente evoluzione dell’economia italiana, l’articolo mostra come quest’ultima rappresenti un rilevante caso di studio per quanto riguarda il parallelo indebolimento di struttura produttiva e mercato del lavoro e, d’altra parte, la man-canza di un legame «virtuoso» tra politiche industriali e del lavoro.
  • Questo articolo presenta un’analisi empirica delle preferenze degli italiani relative alla crea-zione di uno schema europeo di sostegno al reddito dei disoccupati, tramite l’ausilio di un conjoint survey experiment che consente di esplorare le attitudini individuali verso mol-teplici dimensioni di policy. Inoltre, l’interazione delle dimensioni sperimentali con alcune variabili sociodemografiche e attitudinali restituisce un quadro delle preferenze di policy per vari sottogruppi dell’opinione pubblica italiana. I risultati mostrano una preferenza degli italiani per generosi contributi sovranazionali alle misure nazionali di sostegno al reddito dei disoccupati, il cui finanziamento non preveda un ulteriore aggravio fiscale e accompagnati da condizionalità lavorativa e da programmi for-mativi. Non emergono, invece, chiare preferenze in materia di governance e redistribuzione transnazionale dei fondi. Le principali divergenze attitudinali riguardano il sostegno per le condizionalità lavorative, significativamente osteggiate dagli individui potenzialmente esposti a vulnerabilità economiche reali o percepite. Tuttavia, tale polarizzazione a livello di prefe-renze non trova riscontro nelle scelte di voto.
  • Questo articolo focalizza l’attenzione sui divari territoriali nel sistema di welfare italiano alla luce degli incastri istituzionali che collegano il mercato del lavoro, l’offerta di prestazioni sociali e le funzioni economiche della spesa sociale. L’analisi condotta offre un panorama di situazioni altamente diversificate a livello nazionale, tra un gruppo di regioni (Centro-Nord) in cui i sistemi di welfare orientati supportano il mercato del lavoro e lo sviluppo di servizi orientati all’Investimento sociale (Is) e le regioni del Mezzogiorno, in cui emerge una persistente dipendenza dai trasferimenti nazionali e l’offerta di servizi più debole e limitata. In questo contesto, emerge una variabilità nella capacità dei contesti locali di implementare istituzioni efficaci che si traducano in maggiori opportunità di crescita per le persone e per i territori. Riguardo alla spesa compensativa, se da un lato non svolge funzione attivante od orientata alla qualificazione dell’offerta di lavoro e dei sistemi produttivi territoriali, dall’al-tro contribuisce a sostenere i redditi di chi o è ai margini del mercato del lavoro o in condi-zione di forte dipendenza dai trasferimenti per garantirsi una qualche forma di integrazione nella società. Queste tendenze acuiscono le fratture interne ai sistemi di welfare regionali italiani, tra aree del paese che si sentono minacciate dai tagli alle politiche redistributive e all’assistenza, ma che rappresentano una componente fondamentale ai fini della tenuta della domanda interna, oltre che per fronteggiare i maggiori rischi associati alla endemica bassa crescita, e aree più forti che beneficiano delle strategie di ricalibratura.
  • L’articolo mira ad analizzare le traiettorie lavorative dei soggetti vulnerabili che hanno beneficiato o meno di politiche sociali come il Reddito di inclusione e quello di cittadinanza. Utilizzando sinergicamente metodi quantitativi e qualitativi, si integrano le analisi statisti-che descrittive di un campione rappresentativo della popolazione di beneficiari del Reddito di inclusione nel 2018 – di cui la maggior parte sono diventati beneficiari del Reddito di cittadinanza – e quelle di un campione di controllo con le evidenze di uno studio etnografico realizzato in un’area marginale del Mezzogiorno d’Italia a partire da un gruppo di indagine composto da diversi percettori del Reddito di cittadinanza, anch’essi già beneficiari del Red-dito di inclusione in molti casi. Le analisi evidenziano la frammentarietà del lavoro, data da pessime condizioni contrattuali e scarsa quantità di «giornate lavorate» che il mercato del lavoro italiano riserva alla categoria di lavoratori più vulnerabili, e restituiscono l’im-magine di lavoratori poveri, intrappolati in traiettorie lavorative discontinue se non interrotte e mai più riprese. Si sottolinea, dunque, la necessità di intervenire a livello sistemico nel mercato del lavoro, superando l’errata aspettativa che le sole politiche attive del lavoro pos-sano permettere la fuoriuscita da una condizione di vulnerabilità.
  • Le misure di contrasto alla povertà, in specie gli schemi di reddito minimo iscritti nel para-digma del social investment e dell’attivazione, hanno incorporato in Europa la logica di fondo dell’inclusione attiva e della condizionalità. In questo solco si inserisce, con alcune specificità, l’Italia. L’articolo si concentra sui Progetti utili alla collettività (Puc), inseriti tra le forme di condizionalità e attivazione dal Reddito di cittadinanza e – guardando anche alle recenti misure introdotte dal Governo Meloni, l’Assegno di inclusione e il Supporto per la formazione e il lavoro – ne analizza l’attuazione. L’obiettivo è investigare le implicazioni che derivano dall’obbligatorietà di adesione ai Puc per tutti i beneficiari del Rdc privi di esenzioni, senza considerare l’effettivo grado di occupabilità dei percettori. Più ampiamente l’articolo si interroga sulla torsione workfarista delle politiche di contrasto alla povertà inquadrando l’Italia nel contesto europeo, utilizzando i Puc come punto di osservazione per cogliere le ambievalenze che caratterizando questo tipo di condizionalità in tensione tra welfare ordeals e capacitazione.
  • Nonostante la fine dell’emergenza sanitaria e la ripresa dell’economia, disoccupazione e sottoccupazione rimangono alte in molti paesi europei, così come il lavoro precario. Le fasce più svantaggiate del mercato del lavoro sperimentano da anni una condizione di forte vulne-rabilità che né i sussidi, né le politiche attive del lavoro riescono efficacemente a contrastare. Le attuali politiche manifestano l’assenza di un’integrazione con la domanda di lavoro territoriale, vista come questione di cui le politiche di welfare non si possono, né si devono occupare. La Job guarantee ribalta tale assunzione di fondo, mettendo al centro la crea-zione diretta di lavoro «dignitoso». In questo articolo vengono analizzate alcune delle prin-cipali esperienze pilota che sono attualmente in corso in alcuni paesi europei: Austria, Belgio e Francia. Dall’analisi emerge un quadro eterogeneo, con due aspetti comuni di fondo. Il primo è che l’attivazione e la promozione dell’occupabilità da sole non bastano se slegate (come è oggi) da interventi sulla domanda di lavoro territoriale. Il secondo, che la creazione diretta di lavoro sia finalizzata a garantire non solo il lavoro «dignitoso» che manca laddove il mercato non ne crea abbastanza, ma anche quello che serve ed è utile a rispondere ai bisogni insoddisfatti dei territori.
  • Nell’ultimo trentennio un velo di «oscuramento teorico» ha gravato sulle problematiche del lavoro, che ha portato in buona misura ad una lunga fase di «invisibilità» politica. L’articolo ne ripercorre le cause ed evidenzia come si sia oggi di fronte ad uno stridente contrasto tra il peso dell’«oscuramento teorico» e l’acutezza dello stravolgimento della vita economica e sociale provocato dai profondi cambiamenti degli ultimi anni. Per sciogliere questo paradosso bisogna chiamare a una vera e propria svolta intellettuale in grado di restituirci la carica «umanistica» trasformativa racchiusa nel lavoro, a partire dalla inscrizione delle problematiche relative in un quadro da «grande trasformazione». Pertanto, per il futuro del lavoro si conferma fondamentale l’alleanza tra filosofia e scienze umane e sociali, tra cuil’economia. Ad essere ribadita è la necessità di una rinnovata elaborazione intellettuale e culturale, in cui le innovazioni non riguardano solo il livello dei contenuti specifici, ma investono quello concettuale retrostante
  • L’articolo ripercorre alcune delle più importanti evoluzioni registrate nel modello sociale europeo, con particolare riguardo al Pilastro europeo dei diritti sociali. Quest’ultimo, riprendendo alcuni convincimenti originari del progetto europeo, è tornato a sottolineare la complementarità fra dimensione sociale e crescita nonché le ragioni intrinseche, in termini di giustizia, alla base delle politiche sociali. Il gap fra obiettivi fissati e risultati ottenuti rimane, tuttavia, elevato e nuove esigenze di intervento si profilano in presenza delle sfide poste dalla doppia transizione ecologica e tecnologica. Affrontare tale situazione richiede cambiamenti nella governance sociale dell’Unione europea nonché un’estensione delle politiche sociali sovra-nazionali europee.
  • Il contributo affronta il problema della vulnerabilità dell’Europa alla luce delle due sfide della transizione verde e digitale da un lato e del cambiamento del contesto economico e politico internazionale dall’altro e analizza brevemente la risposta dell’Ue e i potenziali problemi per l’Italia. Sulla base di questa analisi si conclude che, sebbene sia chiara la necessità di una governance a livello europeo, questa dovrà gestire forti conflitti di interesse sociali ed economici tra paesi e all’interno dei paesi. La nuova politica industriale deve dunque porsi l’obiettivo prioritario di non lasciare indietro nessuno, di ridurre gli squilibri fra le regioni, i paesi e i cittadini europei per non rischiare di minare irrimediabilmente la coesione interna