• RPS N. 2/2019

    22.00 
    Politiche migratorie in un ambiente ostile
  • Negli ultimi anni si assiste a un fenomeno sempre più «innaturale»: la comparsa di un feroce ritardo delle giovani generazioni italiane nei percorsi di transizione all’età adulta. Le tappe tradizionali che definivano tale passaggio sono saltate: nuove istanze di libertà e cittadinanza premono per avere legittimazione e diritti. Nello stesso tempo si sono erose le condizioni di benessere dei giovani. La generazione maggiormente colpita sembra essere quella degli young-adults nati tra il 1975 e il 1985. Si ipotizza che le politiche pubbliche messe in atto a partire dalla seconda metà degli anni settanta abbiano contribuito ad alimentare tale «ritardo». Politiche economiche e del lavoro discriminanti; politiche abitative assenti; politiche familiari ridotte; una struttura del mercato del lavoro inadeguata ad assorbire high skills. Tutto parla di un’inversione di rotta all’alba del secondo ciclo dello Stato sociale. Le generazioni non sono attori neutri, esse rappresentano tempi sociali che immettono nuove strutture. I giovani vanno dunque inscritti dentro precise collocazioni storico-sociali. Le politiche di empowerment condotte negli ultimi anni non hanno tenuto conto di questo approccio, promuovendo una visione idealizzata delle giovani generazioni: choosy, bamboccioni o risorse attive, tutto ha parlato di loro come di soggetti totalmente dematerializzati. Le politiche, in quanto strumenti che danno forma al Futuro, hanno il dovere di volgere lo sguardo verso il recupero delle prerogative materiali che determinano, o meno, i percorsi di autonomia. Non vi può essere attivazione senza emancipazione sociale.
  • Questa terza indagine sui lavoratori si è svolta mentre è alle porte la rivoluzione digitale. I lavoratori italiani si mostrano preoccupati per gli effetti dell’introduzione delle nuove tecnologie, ma ancora di più appaiono insicuri e ansiosi per i problemi che stanno affrontando «ora»: in particolare per la tenuta dei loro redditi e per la stabilità dei posti di lavoro. Il ritratto che emerge dai dati dell’indagine costituisce un catalogo molto ampio delle diverse facce dei cambiamenti in atto tra i lavoratori italiani. Esso conferma alcuni aspetti noti ed importanti, come il buon livello di soddisfazione espresso da questi verso il loro lavoro e l’apprezzamento diffuso verso i miglioramenti ergonomici introdotti dentro l’organizzazione produttiva. Nello stesso tempo si manifesta nella percezione dei lavoratori il rafforzamento di alcuni problemi ormai cronici. Primo tra tutti quello dei bassi salari, che sovente diventano bassissimi, e che attecchiscono sempre più anche tra i lavoratori autonomi (ai quali viene per la prima volta dedicato un focus approfondito e di grande interesse). L’indagine ritrae – attraverso dati drammatici – anche un grande cambiamento in atto da tempo, che viene definito come «evaporazione della politica»: l’aumento della distanza tra lavoratori e politica e il loro sentimento crescente di essere trascurati e non rappresentati adeguatamente nel la sfera pubblica. Un mondo del lavoro insicuro e bisognoso di nuove garanzie: che rivela però, insieme alle sue preoccupazioni, anche una inedita e rilevante domanda di nuovi beni pubblici e di riforme di grande spessore.
  • Questa memoria è la mia storia di militante comunista intrecciata con la storia del PCI, attraverso i leader che ho conosciuto più da vicino e che più mi hanno coinvolto per la loro personalità e originalità. Ho scelto di raccontare il partito attraverso i suoi leader maggiori come li ho visti io, i rapporti, anche critici, che ho avuto con loro, le suggestioni, i pensieri e, perché no, gli insegnamenti che mi hanno dato. Ne ho scelti dodici, quelli che, secondo me, hanno pesato di più nella vita del partito e soprattutto nella mia vita. La loro peculiarità era la serietà e persino la severità verso se stessi, prima che con gli altri e con il partito. Il che comportava una notevole autodisciplina e coerenza nei comportamenti e prima di tutto nel lavoro e nello studio. Non ignoro che vi era anche una punta di compiacenza elitaria... In tutti c’era un tratto comune che, a mio parere, era il collante principale, che, pur nel confronto più acceso, determinava la coesione e l’unità del gruppo dirigente: la ricerca di un comunismo democratico, prefigurazione viva e concreta della società del domani, in cui tutti, anche i più deboli e più umili, si sentissero utili e valorizzati. Inoltre un rapporto di verità con gli strati popolari fondato sulla coerenza tra parole e fatti: cercare di fare esattamente quello che si dice e di dire esattamente quello che si può fare. L’esatto opposto dell’odierno populismo.
  • Esiste una vasta letteratura sulla vita e sull’attività politica di Pio La Torre, a cominciare dal suo Comunisti e movimento contadino in Sicilia. Fondamentalmente, però, è tutta incentrata sul La Torre politico, che ha profondamente innovato la legislazione antimafia e si è battuto per la pace e contro la base missilistica di Comiso. Su La Torre sindacalista, dirigente della più grande organizzazione sindacale d’Italia, la CGIL, solo pochi e fugaci accenni. Eppure senza la sua lunga esperienza sindacale (1947-1962) Pio La Torre non sarebbe stato l’efficace legislatore antimafia che conosciamo e nemmeno quel costruttore di pace che seppe tessere il filo di vaste alleanze ed entusiasmare migliaia di giovani. Questo libro, voluto fortemente dalla Camera del lavoro di Palermo, vuole essere un contributo per conoscere meglio gli anni della formazione di Pio La Torre, i suoi primi incontri con i braccianti e i contadini poveri delle borgate palermitane e dei comuni della provincia. Ma, negli anni in cui guidò la Camera del lavoro di Palermo, Pio La Torre imparò a conoscere anche gli operai della città, in particolare la classe operaia per antonomasia, quella dei Cantieri navali. E teorizzò e praticò l’unità tra gli operai della città e i contadini delle campagne da contrapporre all’unità tra gli agrari meridionali e la borghesia industriale del nord. Il libro si ferma alla fine degli anni Cinquanta. Su Pio La Torre segretario regionale della CGIL viene scritto un breve epilogo, lasciando aperte le porte per successive e più approfondite ricerche.
  • Sono in atto nel mondo grandi mutamenti legati alle innovazioni nelle tecnologie digitali. Essi sono governati essenzialmente da una decina di grandi gruppi globali, statunitensi e cinesi, che perseguono i loro stretti interessi a spese dei cittadini e delle comunità, possedendo un potere di mercato immenso, mentre l’Europa sembra tagliata fuori da questi sviluppi. Si pongono in proposito enormi problemi in vari campi, con la conseguente necessità di portare avanti processi di controllo del settore da parte dei pubblici poteri, in particolare, oltre che sul fronte della politica del lavoro, questione particolarmente toccata da questi sviluppi, sul piano dell’antitrust, della protezione dei dati dei cittadini (tema messo in rilievo di recente dallo scandalo Facebook), delle questioni fiscali, della diffusione delle notizie sensibili, della dimensione etica delle scelte, dell’influenza esercitata da tali grup pi anche sui comportamenti e le decisioni politiche in vari paesi.
  • Una tappa storica nella vita di un popolo, che si proietta nell’avvenire come un progresso». Così nel 1946 Giuseppe Di Vittorio si augurava dovesse diventare la Carta Costituzionale, «fondata sul lavoro», che due anni dopo, a conclusione dei lavori della Costituente, sarebbe entrata in vigore il 1° gennaio 1948. E di fronte al dramma della disoccupazione aggiungeva: «[...] La Confederazione generale del lavoro non chiede allo Stato sussidi, ma chiede che si creino condizioni tali da dare lavoro ai disoccupati». A distanza di settant’anni, di fronte a uno scenario cupo per l’occupazione, la cui precarietà si esprime in un’articolazione infinita di modelli contrattuali, incontrollati e incontrollabili, che minano il rispetto della dignità della persona umana, di ogni singolo lavoratore, è legittimo chiedersi quale forza abbiano ancora quelle disposizioni volute dai Costituenti, quanto siano state attuate e, all’estremo, se siano davvero attuabili. Insomma, se anche i giovani millennials possano davvero dire, come l’umile Mugnaio di Sans-Souci: c’è un giudice a Berlino.
  • ll volume introduce il lettore all’epigenetica, lo studio biologico della continuità tra organismi e ambienti, attraverso la sua storia e le sue attuali applicazioni nella salute pubblica e nella ricerca scientifica. Sulla scia della divisione del mondo nei blocchi delineati durante la guerra fredda, l’epigenetica venne osteggiata dalle più importanti istituzioni scientifiche occidentali di inizio Novecento e dimenticata fino alla fine degli anni sessanta. Uno dei motivi di questo ostracismo da parte degli ambienti accademici risiedeva nel carattere di forte interdisciplinarità della sua genesi – prerogativa propria della scienza sovietica – mentre nell’assetto scientifico del blocco occidentale la specializzazione disciplinare e il conseguente ruolo degli esperti nelle istituzioni democratiche iniziava a prendere piede. Dopo aver percorso le tappe storiche dello sviluppo dell’epigenetica, vengono analizzati casi di studio in cui questa disciplina interagisce con la zoologia, la botanica e la sfera della salute pubblica per le generazioni presenti e future, nonché le linee di ricerca più recenti che aprono al ripensamento dei cardini culturali e scientifici delle nostre stesse società.
  • Andrea Gianfagna ha trascorso, con incarichi diversi, più di settant’anni in CGIL. In questo libro intervista ricostruisce la sua storia e quella dell’organizzazione nella quale ha militato attraverso un’analisi accurata, attenta e mai banale dei grandi processi e della vita di questo paese. È un libro in cui la storia dell’uomo, del dirigente Gianfagna, si intreccia con la storia della Confederazione generale italiana del lavoro in tutti i suoi momenti più significativi. Il codice genetico di Gianfagna è iscritto nella CGIL di Giuseppe Di Vittorio da cui desume le tre linee di pensiero che caratterizzeranno anche la storia della CGIL nell’Italia democratica: quella della responsabilità nazionale e istituzionale, che trova nella lunga segreteria di Luciano Lama, preparata dal prezioso lavoro di Agostino Novella, la sua più completa declinazione; quella dei diritti e del programma sulla cui base Trentin riuscirà a traghettare la CGIL fuori dalle macerie del secolo breve; e quella dell’ancoraggio costante alla condizione materiale dei lavoratori attraverso il salario, il contratto e la preparazione delle vertenze. «Un sindacalista vero deve sapere cos’è un contratto, una busta paga e come si organizzano le vertenze». Nella lunga e appassionata militanza di Andrea Gianfagna si ritrovano insieme tutti questi elementi propri della CGIL di Di Vittorio.