• Se il 1989 sembrava aver segnato la sconfitta storica non solo del socialismo sovietico ma anche di qualsiasi versione delle idee socialiste, l’esplosione della grande crisi riapre il discorso capitalismo/socialismo, entrambi peraltro figli della cultura dell’Occidente. La crisi che si è prodotta rappresenta uno spartiacque culturale e politico: è quindi a partire da essa, dall’analisi delle sue evoluzioni e implicazioni economiche, sociali, geografiche, che va ripensata la missione della sinistra, cioè la sua identità e la sua organizzazione. La sinistra italiana, pur con una ricchissima storia politica alle spalle, presa e attardata nel suo duello ventennale con il fenomeno Berlusconi, non ha colto nell’esplosione della crisi l’occasione e la necessità di una sua generale ridefinizione e riorganizzazione, ripensandosi come forza socialista all’altezza del tempo in grado sia di aprire un dialogo fecondo con le forze di contestazione innescate dalla crisi sia di reinnestare una dialettica conflittuale con le forze – i cosiddetti animals spirits, il cosiddetto Mercato – che stanno alla base dell’attuale congiuntura. Così, nel pieno della più grande crisi del capitalismo, in Italia si assiste al paradosso che non esiste una forza politica di massa che si richiami esplicitamente alle culture e alle analisi socialiste dei processi. Le riflessioni che vengono proposte in questo volume vogliono essere un contributo alla ricostruzione di una strategia e di una forza neosocialista. Di una forma-partito che, come il mitico pipistrello di La Fontaine, sappia essere, di volta in volta, roditore e uccello, sia cioè capace di aderire a tutte le pieghe della condizione sociale e di produrre, innervandovi la sua presenza, il massimo di socialità collettiva.
  • È già da tempo che la politica non si rapporta più in maniera diretta, men che meno empatica, con il mondo del lavoro subordinato, oggi più che mai frantumato, diviso. E nemmeno la sinistra ha fatto eccezione, sia per le sue inefficaci scelte politiche, sia perché è stata investita dal rimprovero generalizzato alla politica. D’altro canto, la rabbia dei lavoratori troppe volte porta fuori strada, verso scelte difensive e spesso perdenti; le forme di lotta da tempo indicano sempre più frequentemente il prevalere della disperazione. Nella gravissima crisi attuale, e contro l’uso politico che ne viene fatto, la sinistra deve allora aiutare i lavoratori a riprendere consapevolezza della loro forza potenziale, rispetto a una condizione subalterna sempre più unificante verso il basso. Deve farlo partendo dalla consapevolezza che per i lavoratori subordinati la sinistra oggi non è più la prima opzione di voto, e che ciò dipende dall’assenza di risposte politiche adeguate alla loro concreta condizione e dalla mancanza di una proposta che indichi la possibilità di invertire il giogo della subalternità. Ma per farlo bisogna cambiare il modello di sviluppo. Contributi di Piergiovanni Alleva, Pietro Barrera, Maria Luisa Boccia, Paolo Borioni, Mauro Bulgarelli, Carlo Buttaroni, Pierre Carniti, Alessandro Carra, Sergio Caserta, Paolo Ciolfi, Arturo Di Corinto, Fulvio Fammoni, Stefano Fassina, Alfredo Garzi, Alfonso Gianni, Alfiero Grandi, Maurizio Landini, Alberto Leiss, Gennaro Migliore, Sandro Morelli, Felice Roberto Pizzuti, Luciano Pregnolato, Cesare Procaccini, Mario Sai, Antonella Stirati, Claudio Treves, Mario Tronti, Lanfranco Turci.
  • La vita di Bruno Trentin, dalla nascita in Francia dove la sua famiglia era in esilio a causa della dittatura fascista, alla guerra partigiana nelle file di «Giustizia e Libertà» (il partigiano Leone), alla CGIL e all’iscrizione al PCI provenendo dal Partito d’Azione, attraversa larga parte del Novecento. Segretario della FIOM e della FLM e principale protagonista dei Consigli di fabbrica durante l’autunno caldo, segretario generale della CGIL nei primi anni Novanta, ha lasciato un segno profondo nella cultura sindacale e politica. Ariemma mette in luce il carattere originale e innovativo del suo pensiero: la sua ricerca permanente non dogmatica e non ideologica della realtà, a partire dal capitalismo e dal fordismo; la sua visione eretica della democrazia e del socialismo, non statale e critico verso il modello sovietico fin dal 1956, una democrazia e un socialismo come processo, come rivoluzione dal basso, a partire dai luoghi produttivi. La politica per Trentin deve avere al centro il lavoro e il lavoro deve avere al centro la libertà e l’autorealizzazione della persona umana. Non esita a definire il suo messaggio utopia, un’utopia però non massimalista, ma concreta, sperimentale, tesa alla trasformazione della vita quotidiana a partire da chi il lavoro non ce l’ha o è precario, e quindi non è libero, oppure ha un lavoro alienante, opprimente, reificato. Nell’ultimo periodo della sua vita si è battuto, anche come parlamentare europeo, per gli Stati Uniti d’Europa, e per avviare una nuova civiltà che avesse a fondamento il lavoro e la conoscenza.
  • Il volume, promosso dalla Fondazione Argentina Bonetti Altobelli, propone un contributo storico al dibattito politico e sindacale sulla riforma del sistema italiano di welfare. I saggi contenuti all’interno tracciano, con precisione storica e linguaggio accessibile, la nascita e lo sviluppo del welfare state collocandoli nel contesto europeo. Partendo dalla stagione post-risorgimentale, durante la quale nacquero le prime società di mutuo soccorso come forme di autodifesa contro i rischi del mondo del lavoro, e attraversando il periodo tra le due grandi guerre, si giunge a descrivere l’origine del sistema di welfare universalistico volto a garantire a tutti i cittadini l’esercizio dei diritti universali. Lungo questo percorso, nel quale si svilupparono, in Europa, esempi diversi di protezione sociale, in Italia prese forma, non senza contraddizioni, un sistema non riconducibile ad altri modelli europei quali quello scandinavo, tedesco o anglosassone. Accanto a questo excursus storico vengono approfonditi temi specifici come igiene, sanità e diritto dell’abitare, istruzione ed educazione, il sorgere della cooperazione e del welfare locale, l’esperienza delle colonie fasciste, la tutela della salute nei luoghi di lavoro e la nascita delle prime «politiche di genere», declinandoli nella particolare realtà emiliano-romagnola.
  • Questa ricerca ci offre una ricostruzione utile dell’evoluzione del quadro normativo prima e dopo la «riforma Fornero» in relazione alle politiche del lavoro, alla gestione del mercato del lavoro, ai servizi per l’impiego e alla formazione. Dalla ricerca - che ha preso in esame alcuni casi studio come quelli delle regioni Veneto, Toscana, Marche e quello della Provincia autonoma di Trento - emergono alcune buone pratiche fondate sull’azione comune, il rispetto dei reciproci ruoli, il dialogo costante e interattivo con le istituzioni. Cosa resta da fare? Potenziare la territorialità dei servizi per l’impiego, garantendo uniformità e standard essenziali di servizio in tutto il territorio italiano, con un maggiore intreccio tra pubblico e privato e, in particolare, con le parti sociali. Sullo sfondo però di un più generale piano per il lavoro e nuove politiche industriali, senza le quali le politiche per il lavoro rischiano di essere inefficaci.
  • Nell’Italia di fine Ottocento, in un periodo segnato dal moltiplicarsi dei conflitti sociali, i lavoratori delle «arti edilizie» avevano dato vita a spontanee forme di organizzazione per tutelare i propri diritti e migliorare le loro condizioni materiali. Bisognò attendere l’alba del nuovo secolo, dopo la cruenta repressione del 1898, perché le associazioni sorte un po’ dappertutto si riunissero a Milano e confluissero nella Federazione generale italiana fra gli addetti alle arti edilizie. La Lombardia, interessata da un intenso processo di modernizzazione, ebbe un peso rilevante nella rete appena costituita. E in Lombardia il Varesotto, dove già nel 1892 si era costituita una Lega dei muratori, rappresentò una realtà particolarmente attiva. Questo volume, voluto dalla FILLEA CGIL di Varese e realizzato dall’Istituto varesino «Luigi Ambrosoli» per la storia dell’Italia contemporanea e del movimento di liberazione, ricostruisce per la prima volta questa importante pagina di storia sindacale dalle origini all’età fascista. È una storia scandita da lotte e sofferenze, una storia che si intreccia con le vicende politiche dello stesso periodo; una storia di lavoratori, che riuscirono a trasformare la loro debolezza individuale in forza collettiva per la costruzione di un mondo migliore.
  • Senza uguaglianza il diritto all’istruzione rischia di trasformarsi in privilegio per chi può permettersi una costosa scuola privata e in concessione e carità di una scuola pubblica dequalificata per chi è in basso nella scala sociale. Rileggere la storia della scuola significa rileggere anche la storia del nostro paese: tutti i passaggi più significativi della storia nazionale sono stati infatti segnati da profonde trasformazioni del sistema formativo e da movimenti che dalla scuola hanno investito il complesso della società italiana. Attraverso la storia della più grande istituzione culturale del nostro paese (dalla legge Casati alla riforma Gentile, alle leggi razziali del 1939, alla riforma della scuola media unica del 1962, alle controriforme dei ministri Moratti e Gelmini; e i grandi movimenti che l’hanno attraversata dal ’68 al ’77, dalla Pantera all’Onda) Giorgio Mele ci ricorda che senza uguaglianza non esiste né la democrazia né un vero diritto allo studio, per tutti. Dall’Illuminismo in poi, da quando cioè il “sapere” ha assunto una funzione di emancipazione umana, tra democrazia e diritto all’istruzione per tutti si è creato un asse preferenziale, perché è proprio della democrazia garantire l’universalità dei diritti, in funzione del principio di uguaglianza dei cittadini. Nell’ultimo quarto di secolo però l’offensiva liberista e la crisi economica hanno messo in discussione questo nesso costitutivo delle democrazia moderne. La crisi sociale ed economica ha fatto si che la scuola di e per tutti sancito dalla nostra Costituzione non sia più un valore universalmente condiviso. Perché? Perché in epoca di crisi i diritti “costano” e la spesa pubblica va contenuta. E allora diventa di fondamentale importanza rimettere in campo un disegno alto di difesa e sviluppo del diritto all’istruzione. Oggi, più che mai, tutti devono raggiungere un livello di istruzione elevato, per ricostruire legami e dinamiche che stanno alla base della coesione sociale, per ripristinare principi ed etica nei comportamenti pubblici e privati, per affermare il benessere dei singoli e della collettività.
  • L'investimento formativo nei primissimi mesi dell’infanzia è stato da tempo riconosciuto dalla letteratura scientifica come un elemento fondamentale per lo sviluppo del capitale umano, e – insieme – come fattore che condiziona la capacità di rottura delle catene di riproduzione della disuguaglianza sociale. I bambini che fin da piccoli frequentano strutture di childcare dimostrano maggiore capacità di ascolto, di concentrazione nello studio, maggiori abilità nello stabilire relazioni amicali e di cooperazione con i pari e nello sviluppare creatività nel gioco e nella didattica. Nello stesso tempo, è provato che un vasto e diffuso tessuto di offerta di servizi alla prima infanzia previene l’esclusione sociale, incide sulla partecipazione delle donne al mercato del lavoro, sui loro tassi di fecondità, sulla conciliazione tra l’assunzione delle responsabilità private familiari e l’adempimento delle obbligazioni associate al lavoro remunerato. A questo portato di «positività» delle strutture di servizio per la prima infanzia non sembra aver corrisposto una relativa ridefinizione dell’agenda politica nel senso dell’investimento sull’estensione e l’innovazione dei servizi: i dati confermano quanto ancora il paese sia distante dalla soglia minima di partecipazione del 33% decisa a Lisbona nel lontano 2002. Nello stesso tempo, il dibattito sulla valutazione della qualità nei servizi alla prima infanzia è molto ricco ma, spesso, non si dimostra capace di cogliere la molteplicità dei livelli coinvolti (politico, istituzionale, amministrativo, sociale ecc.) e gli attori che concorrono alla costruzione del servizio. Il volume, con i suoi diversi apporti, si colloca all’incrocio di queste tematiche.
  • Arte e potere

    13.00 
    L’idea guida di questo saggio è che l’arte, dall’inizio della storia, sin da quando cioè si afferma la divisione del lavoro e nascono le classi sociali, ha sempre avuto a che fare con il potere. Nel corso dei secoli le dinamiche di questa relazione hanno sicuramente influenzato l’arte, senza riuscire a modificarne l’intima essenza. Negli ultimi decenni, tuttavia, il potere tende a centralizzarsi a livello sovranazionale, assumendo una fisionomia che riflette, da un lato, l’affermazione e la naturalizzazione del capitalismo finanziario globalizzato e, dall’altro, il binomio tecnocrazia-ipercomunicazione. Questo nuovo tirannico dispositivo mette a rischio l’arte per come l’abbiamo conosciuta nel corso dei secoli, riportando all’ordine del giorno la questione della sua morte, ben oltre le previsioni di Hegel. Con lucidità e passione, l’autore indaga dapprima i rapporti fra l’origine dell’arte, la sua natura intima e il potere. Successivamente analizza le trasformazioni che questi rapporti hanno subito nel corso dei secoli, e l’attuale dominio dell’ultracapitalismo finanziario globalizzato, trionfante e insieme portatore di una drammatica crisi epocale. Ciò che questo dominio ha prodotto ha finito per trasformare l’arte in una sottomerce, mettendo a rischio la sua sopravvivenza nella plurimillenaria lotta per la difesa della propria libertà e autonomia. Non può sfuggire il valore metaforico e predittivo di questa sconfitta: se l’arte muore, tutto muore. Tutto ciò che conta per chi ha a cuore i destini di una umanità che rischia di essere messa definitivamente in ginocchio. In questa denuncia è riposto il senso profondo di questo libro.
  • È la forza delle cose che ha riportato al centro dell’attenzione, non solo italiana, il tema dell’uguaglianza: anzi delle disuguaglianze, perché questo è il dato ormai registrato impietosamente fino al suo punto estremo, il rapido aumento della povertà in gran parte del mondo. La domanda, allora, è se sia possibile ricostruire una società degli eguali. Nel nostro ordinamento costituzionale esistono appigli formidabili volti in questa direzione e in grado di contrastare l’impressionante crescita delle disuguaglianze sociali. L’articolo 3 in particolare mantiene una forza in grado di incidere profondamente sulla realtà odierna. Centro di nuovi conflitti e motore di lotte democratiche che rivendicano un ripensamento degli assetti economici e sociali, il tema dell’uguaglianza esige un serio confronto intellettuale. A questo sono rivolti i saggi pubblicati nel volume per iniziativa della Fondazione Lelio e Lisli Basso - Issoco. contributi di: S. Rodotà, G. Azzariti, E. Denninger, C. Giorgi, L. Pennacchi, L. Ferrajoli, E. Granaglia, E. Pugliese, M. Cattoni, I. Cheresky, M.R. Ferrarese, P. Carniti, P. Costa, S. Sciarra.
  • La storia locale, superando il carattere erudito che l’ha caratterizzata a lungo, è diventata negli ultimi decenni un terreno molto frequentato e produttivo. Permette infatti di concentrarsi su realtà specifiche, spesso ritenute secondarie, con il risultato di costruire tessere preziose della narrazione storica nazionale ed internazionale. Inoltre, si è di frequente incrociata con l’ambito della memoria favorendo il recupero e la valorizzazione di identità collettive e, anche, la comunicazione tra generazioni differenti. Crotone ha un rilievo particolare perché attraverso la sua storia, che è insieme agricola e industriale, è possibile leggere le trasformazioni del Mezzogiorno soprattutto in età repubblicana. Questo libro ci restituisce dunque un pezzo di storia locale che è anche una storia del nostro Sud e dell’Italia intera.