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Francescopaolo Palaia
Violenza di fabbrica e conflittualità operaia (1968-1969)
Cartaceo €
Descrizione
La crisi congiunturale che aveva caratterizzato i primi anni Sessanta si interrompe grazie al mercato internazionale che inizia a trainare le esportazioni. Questo comporta una ripresa delle assunzioni. Il bacino da cui attingere forza lavoro necessaria per aumentare il ciclo produttivo è rappresentato dagli emigrati meridionali. Le condizioni di lavoro dopo dieci anni di vuoto sindacale, in particolare alle linee di montaggio della carrozzeria, della meccanica e alle fonderie, sono drammatiche. I carichi di lavoro, il taglio continuo dei tempi, la parcellizzazione delle mansioni pesano in modo talmente gravoso sugli operai da diventare un fattore determinante rispetto alla crescita politica dell’operaio e alla sua ribellione. Il fordismo entra prepotentemente in fabbrica per rispondere alle esigenze produttive intervenendo con violenza sui ritmi di produzione. La Fiat e molte altre aziende iniziano a spingere al massimo le linee. Alla verniciatura di Mirafiori per rendere più rapido il ciclo, le scocche escono ancora calde dai forni, prima che i getti d’aria riuscissero a raffreddarle, con il risultato che gli operai si ustionano i polpastrelli delle dita e a fine giornata hanno le mani gonfie. Si spinge oltre il livello di saturazione previsto e il sistema non è più sotto controllo. I vertici aziendali non fanno nulla per rallentare. A partire dal ’66 sotto l’apparente silenzio della fabbrica iniziano a moltiplicarsi i focolai di conflittualità, innescati da momenti di disagio molto aspri. Questi momenti di disagio sono provocati in primo luogo dalla forte pressione che i capi reparto esercitano per aumentare continuamente i ritmi di lavoro. La fabbrica inizia così a presentare un volto nuovo, oscuro e ignoto all’esterno delle officine e dei reparti trasformati nel teatro di una guerriglia spicciola, «ove si rinnovava ogni giorno una protesta sorda, ancora costretta a rimanere latente».
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