Le riforme italiane e francesi del mercato del lavoro: una via indiretta per il depotenziamento della contrattazione sindacale?
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Descrizione
Negli ultimi anni le riforme del mercato del lavoro in Francia e in Italia hanno contribuito
all’ulteriore deregolamentazione della legislazione lavorista. Se in Italia queste
hanno riguardato principalmente i temi della regolazione contrattuale e del funzionamento
del mercato del lavoro, nel caso francese hanno riguardato più espressamente anche
la contrattazione collettiva e il sistema delle relazioni industriali a livello aziendale.
Sia l’ultima riforma promossa dal governo Renzi (il Jobs Act), sia quella promossa
da Macron (Loi Travail 2), si sono mosse entrambe sulla scia di precedenti provvedimenti,
più o meno in continuità rispetto ai contenuti, ma anche nel quadro di un
confronto sindacale più conflittuale e condizionato da una crescente propensione alla
disintermediazione da parte dei governi.
Anche se i due paesi presentano caratteristiche differenti relativamente al loro mercato del
lavoro (anche in ragione della loro economia) e al loro modello di rappresentanza sindacale
(diverso peso dei contratti nazionali, tassi di sindacalizzazione, organismi di rappresentanza
interni alle aziende, ecc.), le due riforme potrebbero in prospettiva favorire ulteriormente
la de-sindacalizzazione, in particolari degli occupati più giovani. L’ipotesi
contenuta in quest’articolo è in altri termini quella che l’ulteriore processo di precarizzazione
contrattuale nel rapporto di lavoro e la riduzione delle tutele contro i licenziamenti,
tanto nella riforma italiana quanto in quella francese, possa condurre nel medio-lungo periodo
ad un indebolimento crescente dell’efficacia e della copertura della contrattazione
collettiva, a partire dall’enorme incidenza dei contratti a termine nelle assunzioni e
dall’introduzione di formule negoziali dirette tra lavoratori e aziende.